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IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

1. L’importanza del commercio internazionale: protezionismo contro
liberalismo
La nascita del commercio ha origini antichissime nella storia dell’uomo e col progresso delle
civiltà è scaturito, inevitabilmente, anche un forte dibattito su di esso. Le scelte di ambito
commerciale si sono sempre ripercosse e, a loro volta, sono sempre state vincolate, da scelte
economiche e politiche. Nella storia degli Stati sono state principalmente due le possibilità
prese in considerazione dai governi: un tipo di commercio aperto, basato su politiche di
liberalizzazione, o chiuso, basato su politiche protezionistiche. Se la chiusura dei mercati è
stata la politica principale, nel breve termine, dei paesi che hanno affrontato crisi economiche,
è anche vero che subito dopo sono state le stesse a sentire il bisogno di riaprirsi al commercio
internazionale. Per poter applicare politiche protezionistiche su tutti i settori di esportazione
e importazione un paese dovrebbe aver raggiunto l’autosufficienza: una condizione che, per
fattori demografici, climatici e politico-organizzativi, è quasi utopico ottenere. Allo stesso
modo è di difficile attuazione una posizione di completa apertura, poiché metterebbe a rischio
la propria produzione interna, che potrebbe essere sovrastata dalle importazioni. Per questo
nei secoli le politiche che sono state adottate hanno sempre cercato una soluzione che fosse
un giusto mezzo tra le due: attualmente quasi tutti i paesi hanno avviato politiche
protezionistiche su determinati settori di produzione e politiche di apertura totale al
commercio internazionale su altri.
Il concetto di globalizzazione di cui si discute molto negli ultimi anni potrebbe dunque essere
ripensato in termini di semi-globalizzazione, come ritiene Ghemawat (economista), anche per
quanto riguarda il commercio: nonostante esistano molti accordi e aree di libero scambio,
perdurano anche barriere in entrata ed in uscita per determinati prodotti nei singoli paesi.
E’ fuori discussione però che, specialmente nell’ultimo secolo, il processo di globalizzazione
abbia subìto una forte accelerazione e il commercio internazionale abbia acquisito un peso
sempre più importante nei rapporti tra paesi: per questo, a partire dalla fine della Seconda
Guerra Mondiale,è sorta la necessitàdi istituireun organo che ne regolasse i flussi.

1
2. Dal GATT all’Uruguay Round
Le prime basi per la creazione di questo organo, a cui poi si ispirerà il GATT (General
Agreement on Tariffs and Trade), furono gettate durante la Conferenza di Bretton Woods: un
terzo organo (ITO – International Trade Organization), proposto dal Consiglio economico e
socale dell’ONU, che, affiancando il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, si
doveva occupare di organizzare e regolare i commerci internazionali di merci e servizi. Lo
statuto non venne però mai sottoscritto da un numero sufficiente di paesi e dunque non fu
mai istituito, ma pose le fondamenta per la firma da parte di 23 paesi, nel 1947 a Ginevra, del
GATT: un accordo multilaterale volto a favorire le politiche di liberalizzazione nel commercio
internazionale. L’accordo è cresciuto negli anni aprendosi a nuovi temi, discussi
periodicamente in conferenze, denominateRound, e a un numero sempre maggiore di paesi.
Il GATT ha avuto come scopo principale quello di ottenere la diminuzione delle tariffe sulle
esportazioni da parte dei paesi partecipanti, cercando dunque di prevenire blocchi nel
commercio internazionale. Improvvise scelte di tipo protezionistico da parte di alcuni paesi
hanno in passato portato a delle inattese frenate nel commercio internazionale, con
conseguenze economiche, anche gravi, nei paesi importatori. Il caso più importante a riguardo
è sicuramente quello degli Stati Uniti a seguito della crisi del ’29: la chiusura del mercato
americano subito dopo la crisi, decisione presa per permettere al paese di risanare la propria
economia nazionale, portò ad un arresto del commercio globale per circa dieci anni, con
conseguenze economiche ben note in tutto il resto del mondo.
Secondo alcuni dati della Commissione europea1è possibile vedere quali risultati ha portato lo
sviluppo del commercio internazionale nelle economie dei paesi: i beneficiari sono stati fino
ad ora i paesi sviluppati, che hanno potuto accrescere il proprio peso internazionale, e in
misura ancora maggiore quelli in via di sviluppo, che hanno trovato nuovi mercati su cui
affacciarsi; al contrario i paesi sottosviluppati hanno subìto un ulteriore impoverimento,
perché esclusi e marginalizzati in questo contesto. Tale argomento,in particolare a seguito
dell’Uruguay Round, ha inevitabilmente suscitato forti critiche da numerose ONG, le quali
hanno lamentato uno scarso interesse per il problema da parte dei paesi riuniti.
L’Uruguay Round, l’ultima negoziazione svoltasi sotto la cornice del GATT ebbe inizio nel 1986
e si concluse nel 1994 con la creazione del WTO (World Trade Organization), di cui il GATT è
1

A. Parenti, Il WTO, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 26,27, figure 2, 3.
2
rimasto parte. Vide partecipare 123 paesi e aveva come scopo quello di ampliare a nuovi
settori i processi di liberalizzazione del commercio, ma si interruppe nel 1990 a seguito di
alcuni disaccordi tra Stati Uniti e la Comunità europea in materia di politiche agricole. Solo
grazie aduno sblocco definitivo delle trattative l’Uruguay Round portò alla creazione del WTO,
sotto cui rimasero alcuni accordi multilaterali già negoziati e stipulati precedentemente tra
paesi, fra cui il GATT stesso.

3. Il WTO
Il WTO nasce dunque dalle basi del GATT, ma, a differenza di esso, è una organizzazione a tutti
gli effetti, formata da organi decisionali: non più un insieme di accordi multilaterali negoziati
di volta in volta. Il WTO si creò quindi sulla base di cinque principi: il primo è il GATT stesso,
che regola gli scambi internazionali delle merci; il secondo è il GATS (General Agreement on
Trade in Services), per gli scambi internazionali di servizi; il terzo è il TRIPS (Trade Related
Aspects of Intellectual Property Rights) per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale; il
quarto è il TPRM (Trade Policy Review Mechanism) che prevede una discussione da parte di
tutti i paesi delle politiche commerciali dei singoli Stati membri; il quinto ed ultimo prevede la
risoluzione delle controversie commerciali internazionali.
Le politiche commerciali promosse dal WTO si basano sul concetto di “nazione più favorita”
(Most favoured nation): si tenta di estendere a tutti i paesi le condizioni commerciali applicate
al paese più favorito (ovvero con meno restrizioni). Gli scopi del WTO sono dunque
principalmente due: regolare il commercio internazionale e risolverne le dispute.
Alla sua nascita contava 76 paesi membri, coloro che avevano aderito alla creazione del GATT,
ad oggi vede 159 paesi membri e 25 membri osservatori. A differenza di altri organismi, come
la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, il WTO non ha un organo interno
“elitario” deputato a prendere le decisioni: gli accordi vengono presi all’unanimità da tutti i
paesi membri, i cui delegati si incontrano periodicamente nel Consiglio generale a Ginevra e
ogni due anni nel Consiglio ministeriale (del quale fanno parte i ministri dei paesi membri).
Nonostante numerose critiche a questo metodo, che è volto a tutelare anche gli interessi dei
paesi con minore potere internazionale, è stato possibile durante gli anni raggiungere accordi
su argomenti importanti, grazie ai lunghi tempi dedicati alle negoziazioni e al supporto di
alcuni incontri informali che si sono svolti parallelamente.
3
Il GATT, prima, e il WTO, dopo,hanno avuto come scopo principale quello di favorire il
commercio internazionale come chiave per il progresso economico dei singoli paesi, per
questo hanno assunto sin dall’inizio un ruolo centrale nell’abbassamento dei dazi alle dogane:
durante i negoziati i paesi hanno la possibilità di stabiliredei valori massimi dei dazi (di solito
indicato con una percentuale sul prezzo del prodotto) su alcuni prodotti, vincolandosi a
rispettarli e dunque a non eseguire manovre di tipo protezionistico se non in caso di eventi
particolari, o per alcune eccezionisolitamente concesse ai paesi in via di sviluppo (deroghe
concesse all’unanimità dagli altri paesi, o per la tutela di alcune condizioni di salute o per
laconservazione di materie prime etc..). Negli anni sono cresciuti sempre più i prodotti per i
quali i paesi sono stati disposti, a seguito di negoziazioni, a fissare un determinato valore
massimo, e si sono abbassati sempre più i prezzi dei dazi alle dogane. Ovviamente paesi con
peso internazionale maggiore hanno avuto un compito più facile nel negoziare con gli altri
Stati un dazio per loro comunque favorevole.
Oltre a non permettere ai paesi membri di attuare politiche protezionistiche a scapito degli
altri, il WTO chiede agli Stati di non limitare quantitativamente le importazioni e le
esportazioni dei singoli prodotti così da non vanificare le negoziazioni sui dazi.Questi principi
vengono allo stesso modo applicati per le merci e per i servizi che sono oggetto del commercio
internazionale, sia per quanto riguarda i dazi sia per le barriere di tipo tecnico che i vari Stati
hanno stabilito come standard per il commercio di determinati beni.
Un altro tema di cui si occupa il WTO, introdotto durante l’Uruguay Round, riguarda la
protezionedei diritti di proprietà intellettuale: il WTO prevede degli standard minimi sulla
tutela, ma chiede ai singoli paesi di dotarsi di una propria disciplina a riguardo.
Infine l’ultimo ruolo che l’organizzazione ricopre a livello internazionale è quello di arbitro
nelle controversie commerciali tra paesi. Durante l’Uruguay Round si decise di migliorare il
sistema già adottato all’epoca del GATT, definendo con precisione i tempi previsti per la
risoluzione delle dispute. Queste generalmente sorgono nel caso in cui un paese non
rispettinei tempi previsti gli impegni presi durante una negoziazione, o si verifichino disparità
di trattamento nei confronti di alcuni Stati. L’organo adibito alla risoluzione delle controversie
è il Consiglio generale, che però in questo caso assume il nome di Consiglio dell’accordo per la
soluzione delle controversie commerciali.Il procedimento di risoluzione attraversa alcune
fasi: ha inizio condelle consultazioni cui partecipano tutti gli Stati membri, ognuna delle quali
ha un tempo massimo prestabilito. Altre fasisi susseguono, ovviamente nel caso in cui queste
prime consultazioni non siano sufficienti, sino al raggiungimento di una soluzione.Questa
soluzione viene presa da esperti, i quali compilano un rapporto riguardante la situazione, lo
4
inviano a tutti gli Stati membri e i provvedimenti contenuti in esso diventano effettivi, a meno
chegli altri paesi non li sospendano all’unanimità. Solitamente si tende in prima istanza a
chiedere al paese di interrompere l’illecito e, nel caso in cui quest’ultimo non vi provvedesse,
si ricorre a sanzioni o richieste di risarcimenti.

4. Il Doha Round
Nel 1999 si decise per una Conferenza ministeriale a Seattle, che doveva aprire un nuovo
Millennium Round di negoziazioni. Un mese prima dell’inizio, però, alcuni paesi iniziarono a
manifestare il proprio dissenso sugli argomenti oggetto dell’agenda: i paesi in via di sviluppo
chiedevano un riconoscimento internazionale del loro peso nelle negoziazioni. A questa
protesta si aggiunse quella dell’opinione pubblica, la cui attenzione per le organizzazioni
internazionali era cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni.Il WTO decise quindi di
rimandare le discussioni in un nuovo Round, che avrebbe avutoluogo a Doha nel 2001.
Prima di questo incontro vennero accolte alcune istanze dei paesi in via di sviluppo e fu
aggiornata l’agenda per permettere alle negoziazioni di procedere.Grazie a questo e all'avvio
di nuovi metodi di contrattazione fu possibile dare inizio al meeting, che altrimenti rischiava
di fallire ancor prima di iniziare. L’economia mondiale,nel frattempo,aveva subito un forte
arresto e molti paesi erano dunque restii ad ulteriori aperture, inoltre, la scelta di Doha come
luogo per l’incontro doveva assumere un significato importante: per la prima volta un
incontro internazionale si sarebbe tenuto in un paese islamico. Ma i lavori ebbero inizio ad un
mese dall’11 Settembree questa scelta non era più accettabile per alcuni paesi. Lo scopo
dell’incontro fu la discussione dell’apertura dei mercati in ambito di agricoltura e servizi, e di
diritti di proprietà intellettuale, la scadenza per le negoziazioni fu fissata al 2005.
Nel 2003 il nuovo incontro a Cancùn si concluse dopo solo quattro giorni: non era possibile
trovare accordi tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo su argomenti così vasti. Molti
Stati non erano disposti a scendere a compromessi sulle proprie richieste; l’unica soluzione
che si trovò fu quella di eliminare dall’agenda la discussione delle negoziazioni più difficili:
concorrenza, appalti pubblici e investimenti.
Le contrattazioni ripresero nuovamente nel 2004 a Ginevra a seguito delle dichiarazioni di
Robert Zoellick, allora Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, il quale aprì alla
possibilità di annullare alcuni sussidi alle esportazioni e di rinegoziare con i paesi in via di
5
sviluppo altri punti sulle politiche di agricoltura e di ulteriori settori.Durante queste
negoziazioni fu possibiledefinire il cosiddetto Framework Agreement: un accordo
checonteneva alcune linee guida da seguire per portare avanti le discussioni previste
dall’agenda del Doha Round. Si decise inoltre di rimandare la scadenza del 2005 fissando per
quell’anno un Consiglio ministeriale a Hong Kong.
Ma il 2006, a Ginevra, e il 2007, a Potsdam, videro nuovamente un arresto delle negoziazioni,
ancora una volta per i forti disaccordi tra USA, UE e paesi in via di sviluppo. Gli obiettivi del
Doha Round erano nuovamente lontani, e, a seguito del definitivo collasso nel 2009 a Ginevra,
le negoziazioni sono ufficialmente ferme sino ad oggi, nonostante vari tentativi di ripresa.
I principali argomenti di disaccordo riguardano le barriere tecniche ed economiche nel
mercato dell’agricoltura, tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo (in particolare India e
Brasile), le politiche riguardanti le misure sanitarie, i sussidi, gli accordi di commercio
regionali, le politiche da adottare verso i paesi sotto sviluppati, e molti altri. Nonostante sia
pensiero comune ai paesi del WTO che un’apertura totale dei mercati possa rappresentare un
beneficio per tutti, allo stesso tempo ciascuno si interrogasu quanto sarebbe equamente
distribuito tra gli Stati membri questo beneficio.
La crisi economica che ha avuto inizio nel 2007 in America ha nuovamente stravolto gli
equilibri mondiali e in particolare il commercio, ormai strettamente legato al sistema
internazionale. Molti paesi, stretti dalla morsa del debito, hanno applicato politiche
protezionistiche nei settori in cui avevano ancora pieno controllo.
Il 2011 sembrava essere l’anno della possibile svolta, un insieme di fattori avrebbero potuto
favorire la conclusione del Round: una certa stabilità elettorale dei paesi più influenti, un
maggiore interesse americano per il rilancio definitivo dell’economia mondiale e il bisogno di
giungere a degli accordi prima dell’ingresso della Russia nell’organizzazione. 2

5. 2011 e 2012 a confronto: i WTO Annual Reports3

A. Parenti, Il WTO, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 126, 127;
Annual Report 2012 (relativo all’anno 2011), WTO,
http://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/anrep_e/anrep12_e.pdf; Annual report 2013,
WTO, http://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/anrep_e/anrep13_e.pdf.
2
3

6
Il 2011 si è rivelato invece un anno terribile per l’economia globale: la crisi ha colpito
fortemente l’Europa, portando alla luce gravi problemi di debito pubblico. La stabilità
elettorale non ha garantito una stabilità politica: l’esplosione della primavera araba ha portato
nuove complicazioni economiche e politiche nei paesi del Medioriente, fino allo scoppio della
Guerra in Libia. Non meno gravi sono state le catastrofi naturali: il terremoto di magnitudo 9.0
in Giappone e la devastante alluvione in Thailandia hanno avuto come conseguenza nel campo
commercialeil blocco ditutte le forniture.L’insieme di questi fattori ha inevitabilmente portato
ad una crescita minore rispetto alle aspettative per quanto riguarda il commercio
internazionale. Il WTO ha subìto le conseguenze degli eventi,registrando un’evidente impasse
delle negoziazioni previste dall’Agenda di Doha, ma impegnandosi nuovamente a portarle a
termine entro il 2013. Il 2011 ha visto anche l’ingresso nel WTO della Russia, importante
attore nella rinegoziazione degli equilibri commerciali mondiali, di Samoa e Vanuatu, paesi
meno sviluppati che sono riusciti ad entrare a far parte dell’organizzazione, e

del

Montenegro.
Nel 2012 la situazione economica è peggiorata ulteriormente registrando una contrazione
della crescita: dal 5.2 dell’anno precedente, al 2.0.La crisi ha continuato a colpire in particolare
l’Europa, dove anche i paesi che inizialmente avevano fatto da traino per l’economia,hanno
iniziato a sentire il peso della recessione.A causa di ciò si è verificato un forte rallentamento
nelle importazioni (sia da parte di paesi sviluppati che in via di sviluppo), ovvero un minore
flusso nei commerci internazionali. Il 2012 ha visto anche l’ingresso nel WTO del Laos, per il
quale è iniziata una sfida alla crescita(da paese meno sviluppato a paese in via di sviluppo), e
del Tajikistanche è così entrato nell’economia mondiale, portando il numero di paesi membri
a 159.
Nonostante il Doha Round non si sia ancora concluso, il 2011 e il 2012 sono stati importanti
nella realizzazione di alcuni passi avanti negli accordi in agenda. Le dichiarazioni di intenti, in
entrambi gli anni, da parte dei paesi membri, sono state sempre molto chiare: il desiderio di
trovare nuovi metodi di negoziazione, di raggiungere anche piccoli obiettivi per far progredire
la situazione di apparente stallo, il tentativo di creare consenso e, grazie a tutto questo,
rilanciare insieme la crescita economica mondiale.
L’aprile del 2011 aveva visto nuovamente un certo ottimismo nella possibilità di concludere il
Doha Round entro la fine dell’anno: un report sulla situazione nei vari gruppi di negoziazione
aveva evidenziato i problemi e paventato possibili soluzioni. Verso il finire del 2011 era però
chiaro che la situazionenon si sarebbe potuta sbloccare completamente nel breve periodo.
Durante l’ottava Conferenza Ministeriale del dicembre 2011 i paesi membri si sono comunque
7
impegnati su sette proposte principali (e-commerce, diritti di proprietà intellettuale, il
controllo delle politiche commerciali etc..), di cui tre a favore dei paesi sotto-sviluppati,
facilitandone l’ingresso al WTO e la richiesta di deroghe: un chiaro segno che le critiche mosse
in passato all’organizzazione stanno finalmente portando alle conseguenze sperate.A tale
proposito inoltre il WTO ha partecipato nel maggio 2011 a Istanbul alla Conferenza ONU sui
paesi meno sviluppati, il cuil’obiettivo è di dimezzare il numero di questi paesi entro il 2020,
agevolandone l’apertura dei mercati e sostenendoli con aiuti al fine di stimolare la crescita
economica.
Il 2012 non ha fatto altro che confermare molte delle criticità riscontrate già nel 2011: nel
dicembre si è riunita la Trade Negotiations Committee, che ha rinnovato il desiderio di
raggiungere una svolta nelle negoziazioni, cercando nuove modalità, e sperando di concludere
gli obiettivi contenuti nella Agenda di Doha durante la Conferenza ministeriale di Bali del
2013. Allo stesso tempo la TNC ha puntato a raggiungere anche piccoli accordi che potessero
significare un passo avanti nella cornice delle questioni più ampie ancora irrisolte.
Per quanto riguarda il ruolo che l’organizzazione svolge nel monitorare il rispetto degli
accordi presi dai paesi membri, sia il 2011 che il 2012 hanno portato risultati positivi:
nonostante le pressioni della crisi economica, gli Stati hanno mantenuto aperti i propri
mercati, non cedendo a derive protezionistiche. In ogni caso il rischio resta molto forte,
soprattutto per l’insorgere di nuove modalità di controllo, come ad esempio l’innalzamento
delle tariffe sull’esportazione.
Il numero di paesi che ha preso parte ad accordi regionali di commercio è cresciuto in
entrambi gli anni, favorendo sempre più la nascita di aree di libero scambio.
Infine l’organo adibito alla risoluzione delle dispute ha registrato nel 2011 il numero più
basso di notifiche e nel 2012 il numero più alto: in ugual numero da paesi in via di sviluppo e
paesi sviluppati. E’ un dato significativo poiché dimostra l’andamento altalenante dei rapporti
nella comunità internazionale: vi sono uninsieme di interessi conflittuali che di volta in volta
definiscono i nuovi equilibri tra paesi e poteri. La salvaguardia della crescita del sistema di
commercio multilaterale è stata comunque la base su cui si sono fondati tutti i provvedimenti
presi dal WTO.

6. Conclusioni
La nona Conferenza ministeriale tenutasi a Bali nel dicembre 2013 ha finalmente portato al
raggiungimento, da tempo auspicato, di importantiobiettivi: l’approvazione del cosiddetto
Bali Package, contenente alcuni punti dell’Agenda di Doha, riguardo ai sussidi per l’agricoltura
8
e l’abbassamento delle tariffe nello stesso settore. Un traguardo notevole se si considera che
l’apertura delle più ampie negoziazioni eraavvenuta nel 2001, e cheè stato possibile
raggiungere il voto unanime di 159 paesi su un argomento di tale portata.
Il nuovo Millennio ha quindi chiaramente portato con se’ ostacoli e stimoli ai rapporti
internazionali, spostando su nuovi livelli le negoziazioni (non solo commerciali): decisioni un
tempo in mano a una élite di paesi si sono aperte col tempo ad una pluralità di realtà. Adesso
che parte dei problemi del Doha Round sembrano essere risolti possiamo affermare che anche
una organizzazione internazionale delle dimensioni del

WTO sembra essere riuscita a

raccogliere la sfida, adattando le proprie modalità e i propri scopi alla nuova realtà della
globalizzazione.

Federica De Scalzi

9

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History essay on the World Trade Organization

  • 1. IL COMMERCIO INTERNAZIONALE 1. L’importanza del commercio internazionale: protezionismo contro liberalismo La nascita del commercio ha origini antichissime nella storia dell’uomo e col progresso delle civiltà è scaturito, inevitabilmente, anche un forte dibattito su di esso. Le scelte di ambito commerciale si sono sempre ripercosse e, a loro volta, sono sempre state vincolate, da scelte economiche e politiche. Nella storia degli Stati sono state principalmente due le possibilità prese in considerazione dai governi: un tipo di commercio aperto, basato su politiche di liberalizzazione, o chiuso, basato su politiche protezionistiche. Se la chiusura dei mercati è stata la politica principale, nel breve termine, dei paesi che hanno affrontato crisi economiche, è anche vero che subito dopo sono state le stesse a sentire il bisogno di riaprirsi al commercio internazionale. Per poter applicare politiche protezionistiche su tutti i settori di esportazione e importazione un paese dovrebbe aver raggiunto l’autosufficienza: una condizione che, per fattori demografici, climatici e politico-organizzativi, è quasi utopico ottenere. Allo stesso modo è di difficile attuazione una posizione di completa apertura, poiché metterebbe a rischio la propria produzione interna, che potrebbe essere sovrastata dalle importazioni. Per questo nei secoli le politiche che sono state adottate hanno sempre cercato una soluzione che fosse un giusto mezzo tra le due: attualmente quasi tutti i paesi hanno avviato politiche protezionistiche su determinati settori di produzione e politiche di apertura totale al commercio internazionale su altri. Il concetto di globalizzazione di cui si discute molto negli ultimi anni potrebbe dunque essere ripensato in termini di semi-globalizzazione, come ritiene Ghemawat (economista), anche per quanto riguarda il commercio: nonostante esistano molti accordi e aree di libero scambio, perdurano anche barriere in entrata ed in uscita per determinati prodotti nei singoli paesi. E’ fuori discussione però che, specialmente nell’ultimo secolo, il processo di globalizzazione abbia subìto una forte accelerazione e il commercio internazionale abbia acquisito un peso sempre più importante nei rapporti tra paesi: per questo, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale,è sorta la necessitàdi istituireun organo che ne regolasse i flussi. 1
  • 2. 2. Dal GATT all’Uruguay Round Le prime basi per la creazione di questo organo, a cui poi si ispirerà il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), furono gettate durante la Conferenza di Bretton Woods: un terzo organo (ITO – International Trade Organization), proposto dal Consiglio economico e socale dell’ONU, che, affiancando il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, si doveva occupare di organizzare e regolare i commerci internazionali di merci e servizi. Lo statuto non venne però mai sottoscritto da un numero sufficiente di paesi e dunque non fu mai istituito, ma pose le fondamenta per la firma da parte di 23 paesi, nel 1947 a Ginevra, del GATT: un accordo multilaterale volto a favorire le politiche di liberalizzazione nel commercio internazionale. L’accordo è cresciuto negli anni aprendosi a nuovi temi, discussi periodicamente in conferenze, denominateRound, e a un numero sempre maggiore di paesi. Il GATT ha avuto come scopo principale quello di ottenere la diminuzione delle tariffe sulle esportazioni da parte dei paesi partecipanti, cercando dunque di prevenire blocchi nel commercio internazionale. Improvvise scelte di tipo protezionistico da parte di alcuni paesi hanno in passato portato a delle inattese frenate nel commercio internazionale, con conseguenze economiche, anche gravi, nei paesi importatori. Il caso più importante a riguardo è sicuramente quello degli Stati Uniti a seguito della crisi del ’29: la chiusura del mercato americano subito dopo la crisi, decisione presa per permettere al paese di risanare la propria economia nazionale, portò ad un arresto del commercio globale per circa dieci anni, con conseguenze economiche ben note in tutto il resto del mondo. Secondo alcuni dati della Commissione europea1è possibile vedere quali risultati ha portato lo sviluppo del commercio internazionale nelle economie dei paesi: i beneficiari sono stati fino ad ora i paesi sviluppati, che hanno potuto accrescere il proprio peso internazionale, e in misura ancora maggiore quelli in via di sviluppo, che hanno trovato nuovi mercati su cui affacciarsi; al contrario i paesi sottosviluppati hanno subìto un ulteriore impoverimento, perché esclusi e marginalizzati in questo contesto. Tale argomento,in particolare a seguito dell’Uruguay Round, ha inevitabilmente suscitato forti critiche da numerose ONG, le quali hanno lamentato uno scarso interesse per il problema da parte dei paesi riuniti. L’Uruguay Round, l’ultima negoziazione svoltasi sotto la cornice del GATT ebbe inizio nel 1986 e si concluse nel 1994 con la creazione del WTO (World Trade Organization), di cui il GATT è 1 A. Parenti, Il WTO, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 26,27, figure 2, 3. 2
  • 3. rimasto parte. Vide partecipare 123 paesi e aveva come scopo quello di ampliare a nuovi settori i processi di liberalizzazione del commercio, ma si interruppe nel 1990 a seguito di alcuni disaccordi tra Stati Uniti e la Comunità europea in materia di politiche agricole. Solo grazie aduno sblocco definitivo delle trattative l’Uruguay Round portò alla creazione del WTO, sotto cui rimasero alcuni accordi multilaterali già negoziati e stipulati precedentemente tra paesi, fra cui il GATT stesso. 3. Il WTO Il WTO nasce dunque dalle basi del GATT, ma, a differenza di esso, è una organizzazione a tutti gli effetti, formata da organi decisionali: non più un insieme di accordi multilaterali negoziati di volta in volta. Il WTO si creò quindi sulla base di cinque principi: il primo è il GATT stesso, che regola gli scambi internazionali delle merci; il secondo è il GATS (General Agreement on Trade in Services), per gli scambi internazionali di servizi; il terzo è il TRIPS (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale; il quarto è il TPRM (Trade Policy Review Mechanism) che prevede una discussione da parte di tutti i paesi delle politiche commerciali dei singoli Stati membri; il quinto ed ultimo prevede la risoluzione delle controversie commerciali internazionali. Le politiche commerciali promosse dal WTO si basano sul concetto di “nazione più favorita” (Most favoured nation): si tenta di estendere a tutti i paesi le condizioni commerciali applicate al paese più favorito (ovvero con meno restrizioni). Gli scopi del WTO sono dunque principalmente due: regolare il commercio internazionale e risolverne le dispute. Alla sua nascita contava 76 paesi membri, coloro che avevano aderito alla creazione del GATT, ad oggi vede 159 paesi membri e 25 membri osservatori. A differenza di altri organismi, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, il WTO non ha un organo interno “elitario” deputato a prendere le decisioni: gli accordi vengono presi all’unanimità da tutti i paesi membri, i cui delegati si incontrano periodicamente nel Consiglio generale a Ginevra e ogni due anni nel Consiglio ministeriale (del quale fanno parte i ministri dei paesi membri). Nonostante numerose critiche a questo metodo, che è volto a tutelare anche gli interessi dei paesi con minore potere internazionale, è stato possibile durante gli anni raggiungere accordi su argomenti importanti, grazie ai lunghi tempi dedicati alle negoziazioni e al supporto di alcuni incontri informali che si sono svolti parallelamente. 3
  • 4. Il GATT, prima, e il WTO, dopo,hanno avuto come scopo principale quello di favorire il commercio internazionale come chiave per il progresso economico dei singoli paesi, per questo hanno assunto sin dall’inizio un ruolo centrale nell’abbassamento dei dazi alle dogane: durante i negoziati i paesi hanno la possibilità di stabiliredei valori massimi dei dazi (di solito indicato con una percentuale sul prezzo del prodotto) su alcuni prodotti, vincolandosi a rispettarli e dunque a non eseguire manovre di tipo protezionistico se non in caso di eventi particolari, o per alcune eccezionisolitamente concesse ai paesi in via di sviluppo (deroghe concesse all’unanimità dagli altri paesi, o per la tutela di alcune condizioni di salute o per laconservazione di materie prime etc..). Negli anni sono cresciuti sempre più i prodotti per i quali i paesi sono stati disposti, a seguito di negoziazioni, a fissare un determinato valore massimo, e si sono abbassati sempre più i prezzi dei dazi alle dogane. Ovviamente paesi con peso internazionale maggiore hanno avuto un compito più facile nel negoziare con gli altri Stati un dazio per loro comunque favorevole. Oltre a non permettere ai paesi membri di attuare politiche protezionistiche a scapito degli altri, il WTO chiede agli Stati di non limitare quantitativamente le importazioni e le esportazioni dei singoli prodotti così da non vanificare le negoziazioni sui dazi.Questi principi vengono allo stesso modo applicati per le merci e per i servizi che sono oggetto del commercio internazionale, sia per quanto riguarda i dazi sia per le barriere di tipo tecnico che i vari Stati hanno stabilito come standard per il commercio di determinati beni. Un altro tema di cui si occupa il WTO, introdotto durante l’Uruguay Round, riguarda la protezionedei diritti di proprietà intellettuale: il WTO prevede degli standard minimi sulla tutela, ma chiede ai singoli paesi di dotarsi di una propria disciplina a riguardo. Infine l’ultimo ruolo che l’organizzazione ricopre a livello internazionale è quello di arbitro nelle controversie commerciali tra paesi. Durante l’Uruguay Round si decise di migliorare il sistema già adottato all’epoca del GATT, definendo con precisione i tempi previsti per la risoluzione delle dispute. Queste generalmente sorgono nel caso in cui un paese non rispettinei tempi previsti gli impegni presi durante una negoziazione, o si verifichino disparità di trattamento nei confronti di alcuni Stati. L’organo adibito alla risoluzione delle controversie è il Consiglio generale, che però in questo caso assume il nome di Consiglio dell’accordo per la soluzione delle controversie commerciali.Il procedimento di risoluzione attraversa alcune fasi: ha inizio condelle consultazioni cui partecipano tutti gli Stati membri, ognuna delle quali ha un tempo massimo prestabilito. Altre fasisi susseguono, ovviamente nel caso in cui queste prime consultazioni non siano sufficienti, sino al raggiungimento di una soluzione.Questa soluzione viene presa da esperti, i quali compilano un rapporto riguardante la situazione, lo 4
  • 5. inviano a tutti gli Stati membri e i provvedimenti contenuti in esso diventano effettivi, a meno chegli altri paesi non li sospendano all’unanimità. Solitamente si tende in prima istanza a chiedere al paese di interrompere l’illecito e, nel caso in cui quest’ultimo non vi provvedesse, si ricorre a sanzioni o richieste di risarcimenti. 4. Il Doha Round Nel 1999 si decise per una Conferenza ministeriale a Seattle, che doveva aprire un nuovo Millennium Round di negoziazioni. Un mese prima dell’inizio, però, alcuni paesi iniziarono a manifestare il proprio dissenso sugli argomenti oggetto dell’agenda: i paesi in via di sviluppo chiedevano un riconoscimento internazionale del loro peso nelle negoziazioni. A questa protesta si aggiunse quella dell’opinione pubblica, la cui attenzione per le organizzazioni internazionali era cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni.Il WTO decise quindi di rimandare le discussioni in un nuovo Round, che avrebbe avutoluogo a Doha nel 2001. Prima di questo incontro vennero accolte alcune istanze dei paesi in via di sviluppo e fu aggiornata l’agenda per permettere alle negoziazioni di procedere.Grazie a questo e all'avvio di nuovi metodi di contrattazione fu possibile dare inizio al meeting, che altrimenti rischiava di fallire ancor prima di iniziare. L’economia mondiale,nel frattempo,aveva subito un forte arresto e molti paesi erano dunque restii ad ulteriori aperture, inoltre, la scelta di Doha come luogo per l’incontro doveva assumere un significato importante: per la prima volta un incontro internazionale si sarebbe tenuto in un paese islamico. Ma i lavori ebbero inizio ad un mese dall’11 Settembree questa scelta non era più accettabile per alcuni paesi. Lo scopo dell’incontro fu la discussione dell’apertura dei mercati in ambito di agricoltura e servizi, e di diritti di proprietà intellettuale, la scadenza per le negoziazioni fu fissata al 2005. Nel 2003 il nuovo incontro a Cancùn si concluse dopo solo quattro giorni: non era possibile trovare accordi tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo su argomenti così vasti. Molti Stati non erano disposti a scendere a compromessi sulle proprie richieste; l’unica soluzione che si trovò fu quella di eliminare dall’agenda la discussione delle negoziazioni più difficili: concorrenza, appalti pubblici e investimenti. Le contrattazioni ripresero nuovamente nel 2004 a Ginevra a seguito delle dichiarazioni di Robert Zoellick, allora Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, il quale aprì alla possibilità di annullare alcuni sussidi alle esportazioni e di rinegoziare con i paesi in via di 5
  • 6. sviluppo altri punti sulle politiche di agricoltura e di ulteriori settori.Durante queste negoziazioni fu possibiledefinire il cosiddetto Framework Agreement: un accordo checonteneva alcune linee guida da seguire per portare avanti le discussioni previste dall’agenda del Doha Round. Si decise inoltre di rimandare la scadenza del 2005 fissando per quell’anno un Consiglio ministeriale a Hong Kong. Ma il 2006, a Ginevra, e il 2007, a Potsdam, videro nuovamente un arresto delle negoziazioni, ancora una volta per i forti disaccordi tra USA, UE e paesi in via di sviluppo. Gli obiettivi del Doha Round erano nuovamente lontani, e, a seguito del definitivo collasso nel 2009 a Ginevra, le negoziazioni sono ufficialmente ferme sino ad oggi, nonostante vari tentativi di ripresa. I principali argomenti di disaccordo riguardano le barriere tecniche ed economiche nel mercato dell’agricoltura, tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo (in particolare India e Brasile), le politiche riguardanti le misure sanitarie, i sussidi, gli accordi di commercio regionali, le politiche da adottare verso i paesi sotto sviluppati, e molti altri. Nonostante sia pensiero comune ai paesi del WTO che un’apertura totale dei mercati possa rappresentare un beneficio per tutti, allo stesso tempo ciascuno si interrogasu quanto sarebbe equamente distribuito tra gli Stati membri questo beneficio. La crisi economica che ha avuto inizio nel 2007 in America ha nuovamente stravolto gli equilibri mondiali e in particolare il commercio, ormai strettamente legato al sistema internazionale. Molti paesi, stretti dalla morsa del debito, hanno applicato politiche protezionistiche nei settori in cui avevano ancora pieno controllo. Il 2011 sembrava essere l’anno della possibile svolta, un insieme di fattori avrebbero potuto favorire la conclusione del Round: una certa stabilità elettorale dei paesi più influenti, un maggiore interesse americano per il rilancio definitivo dell’economia mondiale e il bisogno di giungere a degli accordi prima dell’ingresso della Russia nell’organizzazione. 2 5. 2011 e 2012 a confronto: i WTO Annual Reports3 A. Parenti, Il WTO, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 126, 127; Annual Report 2012 (relativo all’anno 2011), WTO, http://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/anrep_e/anrep12_e.pdf; Annual report 2013, WTO, http://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/anrep_e/anrep13_e.pdf. 2 3 6
  • 7. Il 2011 si è rivelato invece un anno terribile per l’economia globale: la crisi ha colpito fortemente l’Europa, portando alla luce gravi problemi di debito pubblico. La stabilità elettorale non ha garantito una stabilità politica: l’esplosione della primavera araba ha portato nuove complicazioni economiche e politiche nei paesi del Medioriente, fino allo scoppio della Guerra in Libia. Non meno gravi sono state le catastrofi naturali: il terremoto di magnitudo 9.0 in Giappone e la devastante alluvione in Thailandia hanno avuto come conseguenza nel campo commercialeil blocco ditutte le forniture.L’insieme di questi fattori ha inevitabilmente portato ad una crescita minore rispetto alle aspettative per quanto riguarda il commercio internazionale. Il WTO ha subìto le conseguenze degli eventi,registrando un’evidente impasse delle negoziazioni previste dall’Agenda di Doha, ma impegnandosi nuovamente a portarle a termine entro il 2013. Il 2011 ha visto anche l’ingresso nel WTO della Russia, importante attore nella rinegoziazione degli equilibri commerciali mondiali, di Samoa e Vanuatu, paesi meno sviluppati che sono riusciti ad entrare a far parte dell’organizzazione, e del Montenegro. Nel 2012 la situazione economica è peggiorata ulteriormente registrando una contrazione della crescita: dal 5.2 dell’anno precedente, al 2.0.La crisi ha continuato a colpire in particolare l’Europa, dove anche i paesi che inizialmente avevano fatto da traino per l’economia,hanno iniziato a sentire il peso della recessione.A causa di ciò si è verificato un forte rallentamento nelle importazioni (sia da parte di paesi sviluppati che in via di sviluppo), ovvero un minore flusso nei commerci internazionali. Il 2012 ha visto anche l’ingresso nel WTO del Laos, per il quale è iniziata una sfida alla crescita(da paese meno sviluppato a paese in via di sviluppo), e del Tajikistanche è così entrato nell’economia mondiale, portando il numero di paesi membri a 159. Nonostante il Doha Round non si sia ancora concluso, il 2011 e il 2012 sono stati importanti nella realizzazione di alcuni passi avanti negli accordi in agenda. Le dichiarazioni di intenti, in entrambi gli anni, da parte dei paesi membri, sono state sempre molto chiare: il desiderio di trovare nuovi metodi di negoziazione, di raggiungere anche piccoli obiettivi per far progredire la situazione di apparente stallo, il tentativo di creare consenso e, grazie a tutto questo, rilanciare insieme la crescita economica mondiale. L’aprile del 2011 aveva visto nuovamente un certo ottimismo nella possibilità di concludere il Doha Round entro la fine dell’anno: un report sulla situazione nei vari gruppi di negoziazione aveva evidenziato i problemi e paventato possibili soluzioni. Verso il finire del 2011 era però chiaro che la situazionenon si sarebbe potuta sbloccare completamente nel breve periodo. Durante l’ottava Conferenza Ministeriale del dicembre 2011 i paesi membri si sono comunque 7
  • 8. impegnati su sette proposte principali (e-commerce, diritti di proprietà intellettuale, il controllo delle politiche commerciali etc..), di cui tre a favore dei paesi sotto-sviluppati, facilitandone l’ingresso al WTO e la richiesta di deroghe: un chiaro segno che le critiche mosse in passato all’organizzazione stanno finalmente portando alle conseguenze sperate.A tale proposito inoltre il WTO ha partecipato nel maggio 2011 a Istanbul alla Conferenza ONU sui paesi meno sviluppati, il cuil’obiettivo è di dimezzare il numero di questi paesi entro il 2020, agevolandone l’apertura dei mercati e sostenendoli con aiuti al fine di stimolare la crescita economica. Il 2012 non ha fatto altro che confermare molte delle criticità riscontrate già nel 2011: nel dicembre si è riunita la Trade Negotiations Committee, che ha rinnovato il desiderio di raggiungere una svolta nelle negoziazioni, cercando nuove modalità, e sperando di concludere gli obiettivi contenuti nella Agenda di Doha durante la Conferenza ministeriale di Bali del 2013. Allo stesso tempo la TNC ha puntato a raggiungere anche piccoli accordi che potessero significare un passo avanti nella cornice delle questioni più ampie ancora irrisolte. Per quanto riguarda il ruolo che l’organizzazione svolge nel monitorare il rispetto degli accordi presi dai paesi membri, sia il 2011 che il 2012 hanno portato risultati positivi: nonostante le pressioni della crisi economica, gli Stati hanno mantenuto aperti i propri mercati, non cedendo a derive protezionistiche. In ogni caso il rischio resta molto forte, soprattutto per l’insorgere di nuove modalità di controllo, come ad esempio l’innalzamento delle tariffe sull’esportazione. Il numero di paesi che ha preso parte ad accordi regionali di commercio è cresciuto in entrambi gli anni, favorendo sempre più la nascita di aree di libero scambio. Infine l’organo adibito alla risoluzione delle dispute ha registrato nel 2011 il numero più basso di notifiche e nel 2012 il numero più alto: in ugual numero da paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati. E’ un dato significativo poiché dimostra l’andamento altalenante dei rapporti nella comunità internazionale: vi sono uninsieme di interessi conflittuali che di volta in volta definiscono i nuovi equilibri tra paesi e poteri. La salvaguardia della crescita del sistema di commercio multilaterale è stata comunque la base su cui si sono fondati tutti i provvedimenti presi dal WTO. 6. Conclusioni La nona Conferenza ministeriale tenutasi a Bali nel dicembre 2013 ha finalmente portato al raggiungimento, da tempo auspicato, di importantiobiettivi: l’approvazione del cosiddetto Bali Package, contenente alcuni punti dell’Agenda di Doha, riguardo ai sussidi per l’agricoltura 8
  • 9. e l’abbassamento delle tariffe nello stesso settore. Un traguardo notevole se si considera che l’apertura delle più ampie negoziazioni eraavvenuta nel 2001, e cheè stato possibile raggiungere il voto unanime di 159 paesi su un argomento di tale portata. Il nuovo Millennio ha quindi chiaramente portato con se’ ostacoli e stimoli ai rapporti internazionali, spostando su nuovi livelli le negoziazioni (non solo commerciali): decisioni un tempo in mano a una élite di paesi si sono aperte col tempo ad una pluralità di realtà. Adesso che parte dei problemi del Doha Round sembrano essere risolti possiamo affermare che anche una organizzazione internazionale delle dimensioni del WTO sembra essere riuscita a raccogliere la sfida, adattando le proprie modalità e i propri scopi alla nuova realtà della globalizzazione. Federica De Scalzi 9