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Università degli Studi di Foggia
Dipartimento di Economia
Corso di Laurea Magistrale in Marketing Management
Tesi di Laurea
In
Comunicazione d’impresa
LA COMUNICAZIONE STRATEGICA D’IMPRESA
NELLA LOGICA NARRATIVA:
THE CORPORATE STORYTELLING
Relatore: Laureando:
Ch.ma Prof.ssa Enrica Iannuzzi Giuseppe di Brisco
Correlatore:
Felice Limosani
ANNO ACCADEMICO 2013/2014
Pag.1
La Comunicazione strategica
d’impresa nella logica narrativa:
The corporate storytelling.
Pag.2
Indice
Parte Prima
5 I Personaggi della tesi
7 Introduzione
La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità
13 Alcune riflessioni
15 Il ruolo strategico della comunicazione: le relazioni
20 La corporate communication: il management
27 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione
30 Le imprese verso la co-creazione
36 La working consumer
39 Brand image Brand reputation Brand story
45 Un caso emblematico di co-creazione: Il Mulino che vorrei
Parte Seconda
S is for storytelling. La comunicazione nella logica narrativa.
50 Introduzione allo storytelling
56 Il contesto
58 Perché occuparsi di storytelling
59 La storylistening trance experience
63 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista psicologico
64 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista pubblicitario
66 Il potere della narrazione e della contro narrazione: Ferrero - Brand Nutella
68 Il potere dello storytelling: un’infografica
70 Le storie sono strategie
76 Learning point
Pag.3
Parte Terza
Lo storytelling in action
Trame Format Strutture
78 Le trame d’impresa più diffuse
82 Lo schema narrativo canonico
86 Christopher Vogler: Il viaggio dell’eroe
90 Christopher Booker: the seven basic plots
97 Gli ambiti di applicazione dello storytelling
100 I canali delle storytelling operations
107 Il piano per le storytelling operations
108 Vantaggi dello storytelling
112 Criticità e problematiche dello storytelling
116 Learning point
Parte quarta
Visual Digital storytelling
119 L’evoluzione dello storytelling
125 The power of visual storytelling
132 Digital storytelling
135 Digital storytelling e social media
138 Internet isn’t much without conversation di Felice Limosani
141 Dal digital al Transmedia storytelling
143 Transmedia e brand story
146 Brand gamification e advergame
Pag.4
Parte quinta
Felice Limosani digital storyteller
147 Limos
150 Come realizzare i pensieri del mondo contemporaneo
153 Perché abbiamo bisogno di racconti?
Case History
156 Coca-Cola Journey: ecco come lo storytelling influisce sulle strategie
aziendali
160 Jack Daniel’s trasforma i discorsi da bar in brand storytelling
163 Narrazione e identità: Dove
166 Papa Francesco genio del marketing e dello storytelling di Bruno Ballardini
171 Conclusioni
175 Bibliografia
179 Sitografia e Videografia
184 Tools
185 Indice figure
186 Allegati
190 Ringraziamenti
Pag.5
I personaggi della tesi:
Prof.ssa Enrica Iannuzzi (1975), Relatore. Ricercatore di Economia e
Gestione delle Imprese. Professore Aggregato di Comunicazione
d'impresa. Principali interessi di ricerca :comunicazione d’impresa
teorie organizzative, approccio neo-istituzionalista, governance
d’impresa , analisi delle relazioni intra e inter-organizzative,
ristrutturazione organizzativa e misurazione delle performance di
Ateneo, marketing relazionale.
Felice Limosani (1966), Correlatore. E’ creativo interdisciplinare. DJ e
producer negli anni '80/90. Nel 2000 ha fondato la start up SKYBAR
(Bain Cuneo Associati) creando per Nokia le prime app ludiche di
telefonia mobile. Innovatore della comunicazione artistica, i suoi
lavori sono riconosciuti per il coinvolgimento estetico ed emotivo del
pubblico. Esponente autorevole dello storytelling contemporaneo, le
sue Lectures sono richieste dalle principali università e accademie
europee. Opera in ambito internazionale sia per top brand che per
istituzioni culturali.
Giuseppe di Brisco (1974), Laureando in Marketing Management,
dopo quella in Economia Aziendale. Social media strategy, Marketing,
comunicazione politica e istituzionale. Strambo, a volte faccio sul
“serio”. Esplorativo sempre alla ricerca. Riflessivo. Unconventional
thinking. La politica è passione. La mia preferita: Ama il tuo sogno
seppur ti tormenta. Terra Madre la mia religione. Aspirante Manager.
Pag.6
Ora vi racconto una storia: << Due bellissime
donne, vivevano in una casetta su una collina
al di sopra del villaggio. Un giorno decisero di
accertarsi chi delle due fosse la più bella.
Crearono quindi una gara che consisteva in
una passeggiata nella via principale del
villaggio. Da lì, dovevano riscontrare chi delle
due fosse la più apprezzata, chi avesse più
amici. La prima fu Verità. Si diresse nella via
principale del villaggio, e mentre la percorreva,
la gente si chiudeva nelle proprie case, serrava
le finestre, e i pochi rimasti per strada le
voltarono le spalle. Arrivata alla fine della via,
si chiese come poter fare per esser più
apprezzata. Decise allora di ripercorrere la via,
ma completamente nuda, convinta che avrebbe
attirato l’attenzione di tutti. E così fece. Ma in
realtà la poca gente rimasta fuori si chiude a
sua volta in casa, e le finestre vengono
sbarrate! Tornata dall’amica, Verità riferisce
che il paese era vuoto, e che tutti si erano
chiusi nelle proprie abitazioni.
La seconda bellissima donna, Storia, decide di
provare comunque. Passeggiando per la via, la
gente esce dalle proprie case, le corre in contro,
grida, è in festa. Verità ammette di aver perso
la gara, affermando che probabilmente “la
storia è più potente!”.
Storytelling
la fabbrica delle storie
CHRISTIAN SALMON
Pag.7
I N T R O D U Z I O N E
“Le nostre parole spesso sono prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo
consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le
abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole.
Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo
dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Solo dopo la manomissione, possiamo usare le
nostre parole per raccontare storie.”
La manomissione delle parole, Bur. G. Carofiglio
era una volta una bambina che tutti chiamavano… si, lo so,
avete già capito Cappuccetto rosso. Perché questa storia la
sappiamo tutti, in una versione o nell’altra, sia quella dei
fratelli Grimm o quella di Charles Perrault. La fiaba di Perrault, del 1697, è
più cruenta di quella dei fratelli Grimm, perché non prevede che arrivino né
cacciatori né boscaioli a portare in salvo bimba e nonna. E contiene pure
una morale esplicita: meglio non fidarsi degli sconosciuti, tantomeno di
quelli all’apparenza più miti e servizievoli. Quale che sia il valore di una
lettura freudiana delle fiabe, è però certo che rappresentano il nostro primo
incontro con la narrazione. Di lì in poi, gli anni della nostra formazione
sono tutto un ascoltare storie raccontate da altri o inventarle di sana pianta.
Le storie, insomma, il tempo che passiamo dentro mondi immaginari, sono
un pilastro fondamentale della nostra vita. (Editoriale n.115 di
Mente&Cervello, 27 giugno 2014 di Marco Cattaneo)
La storia che segue è la mia storia, una storia di ricerca sul mondo della
comunicazione strategica d’impresa in particolare sullo studio della
C’
Pag.8
narrazione d’impresa: The corporate Storytelling. Questa storia, la mia,
incontra tante altre storie di studenti, ricercatori, lavoratori, imprese piccole
e grandi, designer, storyteller di professione, marketing manager, uomini di
cultura, istituzioni, politici, territori e soprattutto persone.
Le pagine che stringete tra le mani sono la sintesi di un lavoro, fatto con gli
studi di marketing management presso l’Università degli Studi di Foggia,
approfondito con un corso on-line della Ninja Academy in “Corporate
storytelling – Strategie e strumenti per la narrazione dei brand” in
compagnia con il Prof. Andrea Fontana e Massimo Lico, coordinato dalla
Prof.ssa Enrica Iannuzzi (relatrice, docente di Comunicazione d’impresa) e
con il grande contributo informativo e competenze di Felice Limosani,
amico storico, noto visual e digital storyteller di fama internazionale
(correlatore).
Quando ho cominciato a pensare a questo studio, tra orari di lavoro e il
proseguimento degli esami, non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte
tante idee, tante personalità, tanti ostacoli. Proverò con questa mia
introduzione, a dare un senso a tutto il lavoro. Come dicevo, è la mia
storia, ma dietro ogni impresa , grande o piccola che sia, ci sono tante
storie, che attendono di essere trovate, raccontate e condivise.
Il racconto e la narrazione aziendali sono ormai processi insiti nelle
pratiche quotidiane del marketing, della comunicazione, del Retail e della
gestione delle risorse umane. Che tu sia piccolo o grande, on line o off-line,
hai bisogno di raccontarti.
In questo scenario è emersa la dimensione personale delle imprese e si è
affermato il paradigma dell'impresa-persona (Barone, Fontana, 2005):
l'ultima decade ha infatti visto emergere una corrente post-moderna di
Pag.9
scrittori accademici che vede le organizzazioni non solo e non tanto sotto i
tradizionali aspetti strutturali, orientati al processo e basati sul controllo ma
anche e soprattutto come sistemi viventi e fluenti, nei quali poter "parlare,
pensare, sognare, sentirsi esseri umani che lavorano, giocano, parlano,
ridono e scherzano tra loro" (Denning, 2001: 176).
Le organizzazioni sono infatti composte da individui, da insiemi di soggetti
diversi e in costante interazione tra loro: per questo motivo esse raccontano
una molteplicità di storie in cui si mescolano differenti linguaggi,
vocabolari e registri narrativi. Questi necessitano di integrazione e
coerenza, poiché solo così l'impresa potrà conseguire un significato
comune e avrà un'identità riconoscibile all'interno e all'esterno (Fontana,
2005). Con l'emergere di una visione delle organizzazioni come costruzioni
pluralistiche di storie multiple si afferma quindi anche una nuova
concezione della narrazione, che viene oggi rivalutata e considerata una
modalità efficace per una diversa ed innovativa comprensione, direzione e
gestione delle imprese.
Viviamo in una civiltà nuova, e ancora non ce ne rendiamo conto. Una
civiltà dove, per la prima volta, ci sono elementi di sostanza e di senso in
ambienti imprevedibili e per certi versi intangibili.
Il pubblico ha cessato di essere spettatore: sempre più è parte integrante dei
processi di un engagement atto alla conoscenza e alla condivisione. Ci
siamo ritrovati catapultati in un nuovo mondo, semi sconosciuto, in cui non
basta più informare, comunicare , coinvolgere, ma diventata necessario
NARRARE.
Ecco allora la svolta narrativa farsi largo. Ecco che aziende, organizzazioni,
persino agenzie politiche e mediatiche iniziano nel nuovo millennio a usare
Pag.10
tecniche di narrazione per “posizionarsi” e “vendersi” . Nulla, forse, è
passato indenne attraverso la rivoluzione digitale. È cambiata la società, noi
stessi ci siamo modificati, abbiamo cambiato pelle e mente, abbiamo
acquisito nuovi schemi percettivi. In questa ottica, l’epicentro è la
rivoluzione digitale ma il centro esiste dalla notte dei tempi: è l’essere
umano! Gli strumenti veri dello storyteller sono il desiderio di
comprendere, re-immaginare e creare su scala umana morfologie proprie e
altrui (Felice Limosani).
Scopo di questo lavoro è quindi lo studio dello storytelling e delle sue
applicazioni all'interno delle organizzazioni. Così i brand iniziano a
raccontare storie. I prodotti iniziano a essere storie. E il marketing diviene
narrativo. Per la prima volta nel nostro Paese, si apre un nuovo territorio
teorico e pratico, in cui diventa fondamentale sapere: perché una persona
entra in sintonia con una narrazione e ne fruisce i contenuti facendoli suoi;
quali sono gli elementi principali e non trascurabili per costruire una
narrazione; quale è la fisica dell'ascolto narrativo. Ovvero come
l'ascoltatore entra in sintonia da un punto di vista fisiologico con una
narrazione e con i suoi elementi e come sia possibile misurarne in qualche
modo la fisiologia. Cercherò di rispondere alle seguenti domande cos’è un
racconto aziendale e come si costruisce? Quali sono gli strumenti più
idonei su cui far vivere e far circolare racconti d’impresa? Dove sta il
connubio tra comunicazione e racconto? Quando è un bene fare un
percorso di corporate storytelling e quando sarebbe meglio evitare?
L'argomento è analizzato sia da un punto di vista teorico che da una
prospettiva pratico-operativa. In questo elaborato si è voluto quindi unire la
teoria alla pratica dello storytelling, cercando sempre di mantenere un certo
Pag.11
equilibrio tra questi due aspetti, nella convinzione che essi siano tra loro
complementari.
Queste in breve le linee guida che ci accompagneranno lungo questo
percorso alla scoperta della narrazione d’impresa e del racconto che è insito
in ciascuno di noi. La prima parte del lavoro si occuperà della
comunicazione strategica d’impresa in ottica corporate, lo storytelling nella
comunicazione d’impresa e dal fare comunicazione all’essere
comunicazione.
La seconda parte analizza dal punto di vista storico l’evoluzione della
narrazione indagandola per il suo potere emozionale . Si tracciano le linee
per definire lo storytelling, il contesto in cui opera, il perché occuparsi di
storytelling e perché da un punto di vista psicologico le storie ci piacciono.
Si parlerà della storylistening trance experience e del potere della
narrazione e della contronarrazione. Quindi le storie e le strategie, perché è
inutile negarcelo le storie non sono ingenue.
La terza parte si concentra sulla struttura del processo di narrazione
analizzando le trame più diffuse, i format più usati per costruire una
strategia di comunicazione narratologica; in particolare analizzeremo lo
schema canonico e il viaggio dell’eroe fino alla mappatura fatta da Booker
con il suo libro: the seven basic plots. Ci occuperemo a seguire degli ambiti
di applicazione dello storytelling, quali sono i canali delle storytelling
operations e i suo strumenti (cartaceo, relazionale, digitale). Come si
costruisce un piano di storytelling operation, i vantaggi e le maggiori
criticità dello storytelling evidenziate da Salmon.
La quarta parte è dedicata essenzialmente al potere delle immagini e come
esse vengono usate nello storytelling dai i visual per catturare l’attenzione
Pag.12
ed emozionare; le immagini e le storie, le musiche e i colori vengono
digitalizzate e condivise attraverso la Rete attraverso strumenti
transmediali. In particolare si parlerà del rapporto tra digital e social media,
come si gestiscono le conversazioni e i tempi, fino ad arrivare
all’implementazione di una brand story guardando anche i processi di
gamification e advergame.
La quinta parte descrive il lavoro del digital storyteller Felice Limosani,
correlatore della mia tesi. Il racconto dell’artista si avvale di due Lectures:
essere reali con la fantasia e lo storytelling contemporaneo.
L’ultima parte della tesi è dedicata a quattro Case History.
Pag.13
1. La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità.
1.1 Alcune riflessioni introduttive
n questi anni di forte cambiamento delle logiche economiche e dei
modelli di business si stanno modificando pure, radicalmente, i
modelli e le forme di comunicazione d’impresa. Complessità,
incertezza, ambiguità e cambiamento sono le parole chiave del contesto in
cui le imprese si trovano oggi a competere: la caduta dei classici paradigmi
organizzativi, la globalizzazione e l’aumento della competizione sui
mercati hanno fortemente destabilizzato l’ambiente interno ed esterno in
cui le imprese operano. In questo contesto fluido e metamorfico, le
modalità di gestione e di comunicazione delle aziende si sono dovute
modificare in maniera profonda per riuscire ad assecondare la necessità
degli attori organizzativi di trovare un nuovo modo per capirsi, conoscersi e
riconoscersi in questa mutevole condizione lavorativa; metamorfosi dovuta
anche all’avvento delle nuove tecnologie, delle nuove piattaforme
comunicative e dei social media che hanno determinato un contesto nel
quale la pubblicità classica sta perdendo molta della sua tradizionale
capacità di presa sul pubblico . Pur conservando una sua ragione d’essere (e
rimanendo per la verità ancora prevalente in termini d’investimento),
questa modalità di comunicazione intrinsecamente unidirezionale
rappresenta il passato. Il futuro è fatto di altre cose-particolarmente di tutte
le forme di relazione collaborativa, a due vie, tra imprese, marche e
pubblico che le nuove tecnologie della comunicazione rendono oggi
I
“La comunicazione è sostanza; più sostanza della cosa
comunicata.” C. Nigro
Pag.14
possibile.1
In questo contesto emergono con sempre maggiore chiarezza
forme di comunicazione innovative come lo storytelling, il branded
content e il marketing non-convenzionale, tematiche che affronteremo in
questo e in altri capitoli.
Entrando nel vivo del discorso possiamo constatare che le organizzazioni
dovranno adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione, alla trasformazione
del mondo in una sorta di rete globale, creando delle culture convergenti e
generando nuove modalità di relazione.
Come ben sappiamo ogni individuo, azienda, ente o gruppo sociale
comunica per il semplice fatto di esistere. Questo è uno dei principi
fondamentali su cui si basano le teorie della comunicazione. Tuttavia la
teoria generale dei sistemi (General System Theory) di Ludwig Von
Bertalanffy (1968) definisce le organizzazioni come “ degli insiemi
complessi di parti interdipendenti che interagiscono per adattarsi ad un
ambiente in continuo cambiamento al fine di raggiungere i propri
obiettivi”. Infatti Ludwig Von Bertalanffy definisce il processo di
interazione tra le parti “organizzazione”2
. In tal senso l’organizzazione
non è statica ma si comporta da agente dinamico presente nella società
come soggetto in crescita continua. Come tale, essa è centro vitale di
costrutti socio economici e porta con sé un frame di valori simbolici ( come
ad esempio il logo di un brand) dall’elevato valore cognitivo, entro i cui
confini si autodefinisce.
E’ facile comprendere che le aziende comunicano sempre: esse si
esprimono “non solo attraverso ciò che dicono intenzionalmente (ad
1
Paolo Bonsignore, Joseph Sassoon (2014) , Branded Content – La nuova frontiera della comunicazione d’impresa,
Franco Angeli – collana diretta da Vanni Codeluppi, Milano.
2
Franco Fontana ,Il sistema organizzativo aziendale,1993- Franco Angeli Editore.
Pag.15
esempio, le proprie campagne pubblicitarie), ma anche attraverso quello
che mostrano (ad esempio il design dei prodotti, la forma degli edifici, la
disposizione degli uffici) e quello che fanno (il comportamento dei loro
membri)3
.
Il punto su cui vogliamo soffermarci è il seguente: cosa comunica di
norma un’impresa?
In prima istanza possiamo dire che il contenuto dei suoi messaggi è teso ad
affermare gli elementi finali della sua attività e a mettere in luce il loro
valore, la loro efficacia, l’utilità e il rendimento. Si tratta del lavoro portato
avanti dall’apparato pubblicitario, da intendersi non soltanto a livello
referenziale ma anche valoriale: “il prodotto e il servizio si trasformano in
discorsi, spesso “storie”,”racconti” che, per quanto ancorate alla
concretezza dei loro presupposti di origine, se ne possono allontanare,
avviando una produzione di senso sempre più libera, sempre meno
materializzata, sempre più orientata in una prospettiva simbolica”.
Ad un secondo livello troviamo il discorso di marca, quel valore aggiunto
che si unisce al prodotto e lo rende unico nell’immaginario del
consumatore. Infine il terzo livello di messaggi che l’impresa porta in auge
è costituito dalla sua entità, il suo essere soggetto partecipe della vita
sociale sotto forma di identità aziendale o corporate identity. Nelle pagine
successive del nostro lavoro ci occuperemo di un importante passaggio che
lega la comunicazione aziendale intesa come corporate communication in
particolare con l’evoluzione del Marketing non convenzionale, la marca e il
potere dei consumatori, questo ci permetterà di ospitare il grande tema
3
Gianfranco Bettetini, Semiotica della comunicazione d’impresa, Bompiani, 2003, Milano Pg.40,60,65
Pag.16
della narrazione d’impresa: lo Storytelling come nuovo approccio alla
comunicazione strategica.
1.2 Il ruolo strategico della comunicazione : le relazioni
Le profonde modificazioni che hanno interessato la moderna economia
d’impresa sottolineano la rilevanza che ha assunto la dimensione
relazionale dell’attività imprenditoriale, con riferimento alle relazioni di
business, alle relazioni di mercato, alle relazioni interne, a quelle sociali ed
istituzionali.
In questo contesto la comunicazione assume un ruolo fondamentale in
quanto rappresenta il “collante” delle organizzazioni sociali, strumento
fondamentale di coordinamento delle attività relazionali dell’impresa,
attraverso il quale attivare i contatti, gestire i rapporti, creare e mantenere la
fiducia, promuovere la co-evoluzione, esercitare strategie di influenza e di
condizionamento.4
Lo stesso Prof. G. Calabrese5
in un paper, costrutti, miti e strategie nella
comunicazione d’impresa, scrive: “la comunicazione è il collante sistemico
per antonomasia, il Graal che finalmente cuce insieme strategia e struttura,
lo strumento di salience management invocato dalle declinazioni normative
della Stakeholder Theory (Savage et al., 1991; Clarkson, 1995; Mitchel et
al., 1997; Polonsky e Scott, 2005), nonché la leva di implementazione
operativa delle ricadute provenienti dal dibattito sulla Corporate Social
Responsibility.”
4
Pastore A., Vernuccio M., Impresa e comunicazione principi e strumenti per il management ,Apogeo 2008
5
Mastroberardino P., Calabrese G., Cortese F. Costrutti, miti e strategie nella comunicazione d’impresa. Sinergie,
rivista di studi e ricerche. Università degli studi di Foggia- Dip. Economia Aziendale.
Pag.17
La comunicazione, dunque, genera e sostiene le relazioni, sviluppa fiducia
e conoscenza, produce credibilità strategica e reddituale, contribuisce alla
costruzione della consonanza (compatibilità strutturale) e alla sua
evoluzione verso la risonanza( condivisione dei valori, obiettivi e strategie)
tra soggetti interagenti; per tale via essa concorre alla diffusione e alla
creazione di valore. Attraverso la comunicazione, l’impresa riesce a
generare e trasmettere ai pubblici di riferimento: dal “saper fare” al “far
sapere”.
Thierry Libaert6
e Karine7
Johannes mettono a fuoco il concetto di
relazione come fondamento a cui la comunicazione d’impresa deve
puntare. Il “relazionarsi con”, è del resto, uno degli elementi del processo
comunicativo. Relazionarsi significa secondo Libaert costruire un legame,
mettere in comune degli interessi e degli obiettivi.
“Entrare in relazione con dei pubblici consiste per un’impresa
nell’oltrepassare il livello di transazione, l’atto di acquisto ed introdurre
una continuità, uno spessore temporale”.
Il compito dell’azienda in questo senso è coltivare tale legame attraverso le
pratiche comunicative, sino a giungere ad una personalizzazione degli
scambi e ad una conoscenza approfondita dei pubblici di riferimento.
Secondo due autori esperti nell’analisi dei contesti relazionali in ambito
aziendale, Ledingham e Bruning, la relazione si definisce in questi termini:
“il rapporto esistente tra un’organizzazione e i suoi pubblici di riferimento,
6
Thierry Libaert è uno specialista francese leader in comunicazione organizzativa . E 'docente di
comunicazione organizzativa presso l' Université catholique de Louvain ( Belgio ), dove presiede il
Laboratorio per l'Analisi dei Sistemi Organizzativi di comunicazione (LASCO)
7
Karine Johannes, Ph.D. Strategic communications consultant, Independent, Université Lumière de
Bujumbura.
Pag.18
in cui le azioni di ogni soggetto hanno un impatto sul benessere economico,
sociale, politico e/o culturale dell’altro”.
Partendo dall’idea di relazione, Libaert e Johannes ritrovano nella
corporate communication due radici comuni a tutte le teorie
precedentemente vagliate: il marketing e le relazioni pubbliche.
Dall’evoluzione di queste due discipline e con l’emergere intorno agli anni
’80 della concorrenza e della necessità di gestire i prodotti intangibili
dell’impresa (i suoi valori, la sua mission, la sua vision e la sua cultura) si
sono sviluppate progressivamente le teorie della corporate communication
e i concetti ad essa correlati: corporate image, identity e reputation. Uno
sviluppo relativo al passaggio da una logica di vendita ad una di
costruzione dell’identità e della relazione con l’altro. In quest’ottica se il
marketing si occupa principalmente di valorizzare i prodotti ed i servizi, le
relazioni pubbliche si impegnano a generare un contratto di fiducia con i
diversi pubblici e a comunicare la filosofia aziendale e i suoi valori.
Il paradigma della corporate communication si inserisce secondo Libaert
proprio in questo punto d’incontro tra i due poli sostenendo che entrambe
le aree debbano essere gestite in modo unitario, affinché i prodotti da un
lato siano compenetrati dalla filosofia aziendale e dall’altro mission e
vision si concretizzino nell’operare dell’azienda: in prodotti, servizi, nelle
modalità lavorative, nei rapporti con i clienti e i dipendenti.
Nella nuova era della relazione risulta infatti evidente come l’interesse
degli stakeholders vada al di là dei semplici prodotti e servizi e si porti più
sul processo di produzione, sulle politiche di prezzo, sulla coscienza
dell’azienda come soggetto attivo e responsabile nella società ( si veda il
concetto di Corporate Social Responsability). La società si è resa conto
Pag.19
oggi più che mai del livello di interdipendenza presente fra organismi
pubblici e privati ed i singoli individui, per questo nuove sfide si
propongono oggi alle imprese e negli anni a venire.8
La sfida più difficile sarà sicuramente quella della sincerità e dell’apertura
alla relazione verso gli stakeholder, la comunicazione superlativa è
destinata al fallimento: la vera comunicazione sarà quella capace di
ritornare ai suoi valori essenziali. Questo è quanto sostiene Stéphane Billet,
presidente dell’agenzia di comunicazione francese Hill & Knowlton e
presidente del Syntec Conseil en Relations Publiques. A questa sfida per la
corporate communication se ne aggiungono altre tre, secondo Marianne
Kugler, docente del dipartimento di scienze dell’informazione e della
comunicazione presso l’università di Laval:
1. La necessità di rimanere visibili e credibili mentre si moltiplicano le
fonti d’informazione a causa dell’avvento dei nuovi media (blog,
Twitter, Facebook), che fanno aumentare la circolazione delle notizie
(vere e false) grazie alla modalità del passaparola (“I like” di
Facebook ne è un esempio palese
2. Creare una cultura d’impresa, e instaurare all’interno e all’esterno
un sentimento d’appartenenza mentre aumenta il cinismo dei
dipendenti nei confronti delle promesse dei leader non mantenute;
3. Raggiungere i pubblici di riferimento in un momento in cui le
persone sempre più disincantate preferiscono racchiudersi nella loro
individualità e nel loro piccolo. (facebook ne è un esempio palese);
8
Cristina Fona- Brandforum.it
Pag.20
1.3 La corporate communication : Il management
I modelli di management della comunicazione aziendale proposti in
letteratura sono stati sviluppati con riguardo soprattutto all’immagine e alla
corporate identity .Tali modelli, non riguardano il processo di Corporate
Communication Management (CCM) in quanto tale. Tale processo non si
limita esclusivamente alla gestione della corporate identity ma si estende al
contributo della comunicazione alle decisioni di strategia aziendale
(Gregory et al., 2010; Invernizzi e Romenti, 2011a, 2011b) e alla gestione
delle relazioni con gli stakeholder e della corporate reputation (Gray e
Balmer, 1998; van Riel e Fombrun, 2007).9
Lo stesso Van Riel nel 1995 anno in cui venne pubblicata e tradotta
l’opera “Principles of corporate communication” s’impegna nella
teorizzazione del modello in questione fornendo alcune tra le più
importanti nozioni su cui si fonda. Van Riel definisce la corporate
communication come: “an instrument of management by means of
which all consciously used forms of internal and external
communication are harmonised as effectively and efficiently as possible,
so as to create a favourable basis for relationship with groups upon
which the company is dependent”.
E’ bene sottolineare che il termine corporate non è utilizzato da Riel nel
senso di corporation, ma in relazione al termine latino corpus, più vicino al
corrispettivo inglese “body”, ovvero corpo o meglio “che inerisce alla
totalità”. Infatti spiega Thierry Libaert “la corporate communication
designa la comunicazione in cui l’impresa parla di sé stessa, della sua
9
AGOSTINO VOLLERO Assegnista di Ricerca - Università degli Studi di Salerno - sinergie, rivista di studi e ricerche –
Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
Pag.21
identità, della sua mission e dei suoi valori e si presenta come persona
morale, al di là dei suoi prodotti e servizi” quindi si mostra nella sua
totalità come soggetto facente parte della società. La sua vocazione
principale in questo senso risiede nell’affermare la personalità propria
all’impresa ed assegnargli una identità distinta e coerente favorendo le
relazioni con gli stakeholder aziendali e gestendo al meglio la sua
immagine e reputazione.
Nel corso degli ultimi anni, a partire dagli studi di PR, si è condivisa la
necessità di affrontare la comunicazione in base ad un approccio strategico
stakeholder-oriented . A livello di management strategico, la letteratura
ha evidenziato il ruolo rilevante e attivo del responsabile e dei consulenti di
comunicazione ai fini del governo delle organizzazioni complesse
(Invernizzi e Romenti, 2009). Alla comunicazione è stata, infatti, via via
attribuita la capacità di orientare i principali processi decisionali
aziendali, di supportare le decisioni di governo dell’organizzazione, al
punto che si è coniata in letteratura l’espressione “comunicazione
strategica”. Pur operando nell’ambito della funzione/dipartimento di
comunicazione aziendale (Steyn, 2003; van Riel e Fombrun, 2007;
Cornelissen, 2008), il responsabile (Chief Communication Officer) e/o i
consulenti di comunicazione sono entrati a pieno titolo nella “coalizione
dominante” chiamati a partecipare alle decisioni strategiche e a contribuire
al successo delle imprese (van Riel, 1995; Grunig et al., 2002; Argenti et
al., 2005; Goodman, 2006; Invernizzi e Romenti, 2009).
Le principali attività di comunicazione strategica svolte dal responsabile
e/o dai consulenti di corporate communication consistono nell’ascolto
organizzato (Invernizzi, 2004, 2005; Cornelissen, 2008; Golinelli, 2011) e
nella reflective communication (van Ruler e Verčič, 2005). In un’epoca
Pag.22
caratterizzata dallo stakeholder management, la reflective communication
consente di prendere in considerazione i problemi e le aspettative degli
stakeholder e di individuare le modalità di adeguata interazione con gli
stessi. La comunicazione aziendale riesce così ad essere strettamente legata
alla gestione strategica dell’impresa e alle sue relazioni con gli stakeholder
(Steyn, 2003).
La concezione del ruolo strategico della comunicazione si contrappone alla
visione tradizionale che vede la comunicazione come un’attività, o meglio
una funzione organizzativa, sostanzialmente tattica (White e Dozier, 1992),
che fa largo ricorso ai practitioner e alle technicality di cui questi sono
dotati (Cornelissen, 2008).10
L’evoluzione della concezione della
comunicazione ha suggerito la necessità del passaggio da un management
della comunicazione di tipo tattico ad uno di tipo strategico (Holm, 2006).
L’idea di integrare il marketing e le public relation nell’ambito di un
unico strategic managing system di corporate communication (Varey,
1998; Varey e White, 2000) contribuisce al dibattito sul management
strategico della comunicazione. In tale sistema, le attività di comunicazione
sono costruite intorno a relazioni forti, durature e paritarie con i diversi
stakeholder group.
Tali relazioni si focalizzano sul coinvolgimento e sulla collaborazione degli
stakeholder attraverso l’adozione di un interactive approach (Varey, 1998).
La varietà derivante dalle esperienze dei diversi soggetti coinvolti e il
dialogo con i diversi pubblici contribuiscono alla definizione delle priorità
nel processo di comunicazione e sostengono il ruolo attivo del CCO (Chief
Communication Officer).
10
Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno.
Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
Pag.23
Il processo di corporate communication management comporta varie fasi,
alcune delle quali consistono nello svolgimento delle attività di
comunicazione (strategica e operativa) e altre che comportano l’assunzione
delle decisioni in materia di comunicazione (strategiche e operative)
Figura 1 Il processo di corporate communication
L’ingresso dello storytelling è voluto e forzato in questa
figura, come nuova modalità di comunicazione rientrante
nella Communication strategy.11
11
Figura 1 (storytelling) mia elaborazione.
Pag.24
Il processo ha inizio a livello di management strategico (governo) con
l’accennata attività di ascolto organizzato (environmental scanning),
destinata alla conoscenza delle aspettative dei pubblici esterni e interni
all’impresa e del loro giudizio circa la reputazione di quest’ultima.
In un ambiente sempre più interconnesso e interattivo si rende necessario
un approccio di tipo sense-adapt-in cui i communication director e i
consultant sono in costante ascolto dei differenti stakeholder group e
rispondono loro attraverso le forme ed i canali di comunicazione più
appropriati. L’approccio sense-adapt-respond favorisce la diffusione delle
abilità di comunicazione che valorizzano la comunicazione bidirezionale,
il dialogo e la cooperazione con gli stakeholder.
All’attività di ascolto segue l’attività strategico-riflettiva (reflective
communication), con funzione di information support in quanto ha la
finalità di trasferire ai membri della “coalizione dominante” le indicazioni
sulle aspettative e sulle percezioni dei pubblici, per orientare la vision
aziendale, per stimolare eventualmente la revisione del sistema dei valori
guida condivisi dai membri dell’organizzazione a base della corporate
culture, per consentire l’assunzione di strategie corporate e di business in
linea con le attese dei resource-holder. L’attività di ascolto organizzato e
l’attività riflettiva rappresentano le due fondamentali attività di
comunicazione strategica, per il fatto di coinvolgere membri della
coalizione dominante e di supportare le decisioni di quest’organismo di
governance (v. Tab. 1) (v.Tab.2)
Pag.25
TAB.1 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI
DELLA COALIZIONE DOMINANTE
MEMBRI DELLA COALIZIONE
DOMINANTE COINVOLTI
ATTIVITA’ STRATEGICHE DI COMUNICAZIONE
Tutti i membri (soprattutto il CEO, il CCO, il
CMO, i consulenti di comunicazione)
Attività di ascolto organizzato (environmental scanning):
- conoscenza del contesto, identificazione degli stakeholder
group e dei pubblici influenti
- comprensione e interpretazione delle aspettative dei
pubblici, rilevazione della percezione e del giudizio dei
pubblici in merito alla reputazione dell’organizzazione
CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione
Attività strategico-riflettiva (information support):
- apporto di informazioni, nell’ambito della coalizione
dominante, circa le aspettative dei pubblici influenti, per
consentire opportuni cambiamenti e adeguamenti
dell’organizzazione
- contributo alla definizione dei valori guida (corporate
culture), della vision e della strategia di corporate/business
Tabella 1 : Principali attività di Comunicazione Strategica svolte dalla coalizione dominante
la strategia di comunicazione trova attuazione attraverso le decisioni e le
attività operative di comunicazione (v. tab. 2). È compito del management
operativo sviluppare e gestire l’attività relazionale e di stimolo
all’estroversione. Le prime sono destinate a creare e instaurare relazioni
simmetriche e durevoli con gli stakeholder (Ledingham e Bruning, 2000;
Grunig, 2001; Ledingham, 2003). Le seconde servono a stimolare la
partecipazione attiva dei clienti e degli altri stakeholder, nell’ambito per lo
più dei social media e delle brand community. Questo stimolo mira ad
indurre la produzione di contenuti multimediali generati direttamente dagli
utenti (user generated) (Nova24 Le Idee, 2011).12
12
Le tab.1,2 sono miei adattamenti prodotti dal paper del Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione
delle Imprese - Università degli Studi di Salerno.
Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
Pag.26
TAB.2 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI
DELLA COALIZIONE DOMINANTE
MEMBRI DELLA COALIZIONE
DOMINANTE COINVOLTI
ATTIVITA’ OPERATIVE DI COMUNICAZIONE
 CEO, CCO, CHRO, consulenti di
comunicazione
 CEO, CCO, CMO, consulenti di
comunicazione
 Tutti i membri
 CCO, CMO, consulenti di
comunicazione
Attività relazionale:
- diffusione dei valori guida, della mission e della vision
(all’interno e all’esterno dell’organizzazione)
- diffusione dei contenuti della strategia di
corporate/business (all’interno dell’organizzazione)
- sviluppo di relazioni simmetriche con gli stakeholder
- attuazione di programmi di branding (ethical branding,
employer branding, retail branding, brand extension,
corporate trademark licensing, co-branding, ingredient
branding, ecc.)
CCO, CMO, consulenti di comunicazione
Attività di stimolo all’estroversione:
stimolare la partecipazione attiva dei clienti nei social media e
nelle brand community, ai fini della produzione di contenuti
user generated (contenuti multimediali generati dagli utenti)
Tabella 2 : Principali attività di comunicazione strategica svolte dalla coalizione dominante
Un punto in comune che manca alle tabelle (1,2) tra le principali attività di
comunicazione operativa è lo Storytelling, argomento che inseriremo per
completare e implementare il processo di comunicazione e di strategy
dell’impresa. Prima di immergerci nel mondo dello storytelling e della
narrazione d’impresa affronteremo nel prossimo paragrafo, a conclusione
del capitolo, passaggi importanti per comprendere l’era della post-
modernità, consumi, identità e brand, dall’immagine alla reputazione ( due
componenti importantissime della Corporate communication), il marketing
esperienziale: dalla co-creazione alla working consumers.
Pag.27
1.4 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione.
Le attività di consumo sono ormai un elemento centrale nella vita delle
persone: passiamo più tempo a consumare che a lavorare. Il consumo è
sempre meno una semplice attività volta a rispondere a necessità specifiche
e sempre più caratterizzato da aspetti edonistici, dalla ricerca di piacere e di
gratificazione. Consumiamo sempre meno da soli; il consumo è
tipicamente un fatto sociale: momenti, valori, significati condivisi con altri,
amici, familiari o persone che non conosciamo ma hanno, per esempio, una
nostra stessa passione; si pensi ad un concerto di Ligabue, alle iniziative in
memoria di De André, alle partite di calcio allo stadio. D’altro canto, anche
una partita vista a casa su Sky da soli diventa poi un fatto da raccontare,
discutere e condividere con gli altri, oltre che un’attività di consumo.13
Una volta per soddisfare le richieste dei consumatori più esigenti era
sufficiente fabbricare buoni prodotti e migliorare la qualità dei servizi.
Oggi questo non basta più. Si punta infatti all’esperienza globale, quella
che riesce a coinvolgere non solo i sensi, ma anche il cuore e la mente.
“L’economia- dice Felice Limosani – è di fatto nell’era della produzione
di esperienze: si è partiti dalle materie prime e dalla produzione di beni e
si è passati ai servizi come valore aggiunto. Ma oggi beni e servizi non
bastano più, mentre l’orientamento a produrre emozioni origina scenari
sempre nuovi”14
Il consumatore contemporaneo preferisce vivere immerso in esperienze di
consumo anziché acquistare meri prodotti e servizi. Il consumo post-
moderno si riassume così nell’immersione in esperienze costituite da
13
Carù A., Cova B., a cura di (2007), Consuming Experience, Routledge, London
14
http://www.felicelimosani.com/upload/7oO_141_7piZ.pdf
Pag.28
incontri affascinanti, spettacolari, dalle mille sfaccettature. Il consumatore
oggi viene percepito come un essere emozionale, in cerca di esperienze
sensibili che lo facciano interagire con i prodotti e i servizi del sistema di
consumo. Tutto ciò conduce gli esperti di marketing a stemperare la visione
funzionalista e utilitaristica del consumo con una visione detta
esperienziale, la quale mette in rilievo i valori edonistici e la soggettività
dell’individuo. Tradizionalmente legata alla microeconomia e alla
psicologia ( sia comportamentista sia cognitivista), la visione funzionalista
del consumo si concentra sulla ricerca di informazioni e sul processo
d’influenza del consumatore, al fine di ottimizzare le transazioni di
individui considerati isolatamente. Nella prospettiva esperienziale, al
contrario, il consumatore non cerca tanto di massimizzare un profitto,
quanto di ottenere una gratificazione edonistica nell’ambito di un contesto
sociale. Il consumo scatena infatti sensazioni ed emozioni che, lungi dal
rispondere semplicemente a dei bisogni, vanno a toccare l’ambito della
ricerca identitaria del consumatore. Non si tratta più, semplicemente, di
“fare i propri acquisti”, ma di “vivere delle esperienze” e, più spesso, delle
esperienze “integrate”, poiché queste fanno appello a tutti i sensi
dell’individuo.
Il nuovo consumatore si muove dunque dinamicamente e può avere diverse
attitudini al consumo in relazione al diverso momento che sta vivendo e
condividendo con altre persone, potremmo definirli “momenti di vita” in
contrapposizione ai classici e ormai poco funzionali ”stili di vita”, tipici
del marketing tradizionale.15
15
Cova B., Giordano A., Pallera M., terza ed. aggiornata 2012 ( a cura di) : Marketing non-convenzionale
Pag.29
Il marketing esperienziale si collega alle esperienze vissute dal
consumatore, le quali si generano quando egli si imbatte, subisce o vive
alcuni avvenimenti. L’esperienza di consumo si definisce come il momento
in cui si prova qualcosa di bello o di brutto, provocato intenzionalmente o
meno, come qualcosa che arricchisce il pensiero e che è decisivo per la sua
organizzazione. Queste esperienze, più che valori funzionali, possiedono
valori sensoriali, emozionali, cognitivi, comportamentali e relazionali. Il
consumatore non percepisce la situazione in termini di categorie
strettamente definite, ma in termine di consumo nel suo insieme. Per una
migliore comprensione delle tipologie di esperienza al consumo, si può
utilizzare il quadro semiotico dei valori delle esperienze.16
Figura 2 Tipologia delle esperienze di consumo
16
Cova B.,Louyot – Gallicher M. C (2006) Innover en marketing, Lavoisier, Paris.
PRATICA
Utile
Funzionale
Pratico
Tecnico
UTOPICA
Evasione
Avventura
Sogno
Metamorfosi
Trasgressione
CRITICA
Essenziale
Sobrio
Basico
Economico
Necessario
Vantaggioso
LUDICA
Evasione
Divertimento
Scenografia
Gadget
Sorpresa
Provocazione
Humor
Pag.30
L’oggetto dell’esperienza deve coniugare valori d’uso ( pratico e critico) e
valori esistenziali ( utopico e ludico). In parole povere, il consumatore
vuole tutto e il contrario di tutto: dall’oggetto dell’esperienza, e dal
marchio che lo produce, si aspetta non solo la riproducibilità
dell’esperienza e la diminuzione del rischio percepito, ma anche nuove
sensazioni, emozioni ed esperienze. Il marchio (brand) sarà allo stesso
tempo un dispositivo in grado di “industrializzare” le esperienze, ma anche
un attore capace di dare prova di fantasia. Il marketing esperienziale si
pone quindi il problema di come produrre, o co-produrre insieme al
consumatore, queste esperienze di consumo considerato che come abbiamo
più volte detto nel corso del capitolo il consumatore non è più un attore
passivo che reagisce a determinati stimoli, ma piuttosto un attore attivo
nonché il produttore delle proprie esperienze di consumo, le imprese
tuttavia hanno cercato di agevolare la realizzazione di queste esperienze.
1.4.1 Le imprese verso la co-creazione
In effetti, negli ultimi anni si è assistito a un crescente incremento da parte
delle imprese nel coinvolgere il consumatore nella definizione dell’offerta.
La co-creazione contempla un coinvolgimento del consumatore, il quale
collabora attivamente e arbitrariamente alla cogenerazione dell’offerta e del
valore in esso compreso. Ciò implica una illimitata libertà di azione alla
creatività dei consumatori, i quali possono così arricchire l’offerta
d’impresa con conoscenze e idee del tutto impreviste e imprevedibili.
Alcune figure qui a seguito spiegheranno al meglio l’evoluzione verso la
co-creazione (fig.3,4,5).
Pag.31
Il Marketing tradizionale (Good- Dominant Logic, G-D Logic) risponde
alla logica del value-in- exchange ( valore dello scambio) fig.3, il valore è
impresso nei prodotti o servizi ed è completamente separato dal
consumatore.
Figura 3 La vecchia logica del Marketing (G-D-Logic)
Tratto comune dei nuovi approcci di marketing è la tendenza ad andare
verso il consumatore coinvolgendolo nei processi di creazione del valore.
Questa impostazione ha fatto emergere una nuova logica del marketing, la
Pag.32
S-D Logic (Service- Dominant Logic) 17
, una logica in cui i meccanismi di
produzione del valore si liberano dal controllo esclusivo dell’offerta per
collocarsi invece nell’interazione tra imprese e consumatori, un
cambiamento di prospettiva che dall’idea di valore nello scambio (value-in-
exchange), propria del marketing tradizionale, si sposta verso l’idea di
valore nell’uso o nell’interazione ( value-in- use).
Figura 4 La nuova logica del marketing (S-D Logic)
La S-D Logic, risponde alla logica del value- in- use, il valore non è
incorporato nell’offerta ma viene co-creato dalle imprese e dai
consumatori, non è valutato su basi oggettive ma secondo la percezione del
consumatore. L’elemento di novità apportato dalla S-D Logic consiste
quindi nell’enfatizzare l’importanza delle conoscenze degli attori coinvolti
nel processo d’interazione. L’incontro e la condivisione di queste risorse
rappresenta il momento topico della co-creazione del valore. Nel marketing
17
Vargo S.L., Lush R.F. (2004), “Evolving to a New Dominant logic for Marketing”, Journal of marketing, 68(1) pp.90-
102
Conoscenze e
competenze del
consumatore.
Value proposition.
Conoscenze e
competenze
dell’impresa.
Co- Creazione di
Valore.
(Value- in- use)
Pag.33
tradizionale ciò che costituisce oggetto di scambio sono le operand
resources (beni e servizi), nella nuova logica del marketing sono le operant
resources( conoscenze, abilità, competenze) a essere impiegate e condivise
da consumatori e imprese insieme per generare valore.
Ciò induce le imprese ad assumere un diverso atteggiamento verso il
mercato che dal modello “market to” della vecchia logica si sposta verso
un modello “market with”. Un ripensamento, dunque, della visione
kotleriana incardinata sui must pianificazione-gestione-controllo che
prescrivono un atteggiamento unilaterale dell’impresa verso il mercato, e il
debutto di un atteggiamento interazionale che chiama in causa i
consumatori come partner nella generazione del valore. Tale percorso ha
ridisegnato la funzione dell’impresa rispetto al mercato: nella service-logic,
infatti, l’impresa si limita ad avanzare una value proposition (Vargo e
Lusch,2004),una proposta di valore alla quale il consumatore partecipa e
collabora attraverso la sua percezione personale.
Anche se nella letteratura di marketing il tema della co-creazione è legato
in maniera stringente alle due tipologie classiche del valore, e cioè al valore
di scambio e il valore d’uso, oggi è possibile parlare di una nuova tipologia
del valore legata soprattutto al consumo: il valore del legame.18
Fig.4
A differenza del valore di scambio e del valore d’uso che fanno riferimento
principalmente al singolo individuo, il valore di legame emerge nel
momento in cui nella società si ricopre il bisogno di appartenenza.19
In una società dal sapore tribale e comunitario, i beni e i servizi del sistema
dei consumi non sono percepiti come valori primari, ma, piuttosto, sono
18
Cova B. (1997) “community and consuption”: towards a definition of the “linking Value” of product or services”,
European journal of marketing, pp.297-316.
19
Maffessoli M.(2000a) L’istante eterno. Ritorno del tragico nel post-moderno, Sossella, Roma,2003.
Pag.34
subalterni rispetto alla loro capacità di creare e di mantenere il legame
sociale. Questo significa che le tribù, avendo bisogno di consolidare e
affermare la loro unione , sono costantemente alla ricerca di tutto ciò che
garantisca la riaffermazione continua di tale unione: un luogo, un emblema,
dei rituali, dei riconoscimenti ecc.
Figura 5 Il valore del legame
Le sottoculture di consumo, le brand community e le tribù di consumatori
sono l’espressione più limpida di come i raggruppamenti di consumatori
intorno a uno specifico prodotto, una marca o un’attività di consumo in
genere contribuiscano a caratterizzarne l’immagine che socialmente ne
viene percepita. (v.fig.6) Sarebbe impossibile pensare alla Harley Davidson
senza il contributo degli HOG, alla Lego senza il contributo degli AFOL,
alla Nutella senza i nutellari…
I consumatori, perseguendo i medesimi interessi di consumo, generano
delle emozioni -ricordiamoci questa parola che ci tornerà utile quando
Marca/Prodotto
Valoredi
legame.
Pag.35
affronteremo nel prossimo capitolo la narrazione d’impresa e dei suoi
prodotti nella logica dello storytelling – di solidarismo condiviso attraverso
la creazione di mondi culturali frammentari, distintivi, autopoietici e a volte
effimeri.20
In questa prospettiva, i consumatori rilavorano attivamente i significati
simbolici codificati nei messaggi pubblicitari, nelle marche, nei punti
vendita o, in generale, nei beni materiali per realizzare i loro personali
obiettivi di identità e stili di vita, è la nascita del Prosumer.
Figura 6 Cultura, impresa e consumatori.
20
Codeluppi V. (2005) Manuale di sociologia dei consumi, Carrocci, Roma.
Consumatori occasionali.
Pag.36
1.4.2 La working consumer.
Ritornando a quanto abbiamo detto nei paragrafi precedenti, e cioè alla
capacità dei consumatori di manipolare prodotti e servizi grazie al
contributo delle nuove tecnologie di comunicazione, dedichiamo questo
paragrafo al contributo che questi offrono a vari livelli nella
determinazione dell’offerta. La collaborazione dei consumatori nella
definizione dei prodotti e dei brand è stata di recente approfondita dalla
ricerca21
. In particolare, il termine impiegato per indicare tale fenomeno è
working consumer. I consumatori collaboratori prestano il loro savoir-faire
relativo all’offerta secondo diverse pratiche e diverse situazioni di
consumo. Nello specifico vengono individuate:
 Consumption experience
 Co-production in the service encounter
 Consumer resistance
 Service-Dominant Logic of marketing
 Collaborative innovation
 Consumer empowerment
 Consumer agency
 Consumer tribes.
Questi contributi dimostrano come il tema della partecipazione del
consumatore nella elaborazione dell’offerta d’impresa sia sempre più
centrale nelle dinamiche di consumo attuali. Il consumer made è un
tentativo di risposta alle più recenti mutazioni del consumatore. I
cambiamenti in atto nelle cosiddette società “post-moderne”, insieme alle
rivoluzioni tecnologiche cosiddette “post-industriali”( prime fra tutte
21
Cova B., Dalli D. (2009) “working consumer : the next step in marketing theory?, marketing theory, pp.315-39
Pag.37
l’espansione di internet), fanno emergere consumatori sempre più capaci di
resistere alle iniziative di marketing delle aziende e in possesso di una
sempre maggiore competenza in merito ai prodotti e ai marchi che
utilizzano. “L’intersezione dei vari approcci consente di identificare quattro
tipi di strategie di collaborazione ( fig.7), che consentono di reagire alle
sfide poste dal nuovo potere del consumatore:
Figura 7 Tipologie di collaborazione consumer made
 Co-innovazione : L’azienda coinvolge utilizzatori leader o comunità
di utilizzatori nel processo di progettazione del nuovo prodotto o
Co-Innovazione.
Progettazione
guidata dal
consumatore
Co-Produzione
Esperienze
prodotte dal
consumatore
Co-immaginazione
Racconti dei
consumatori
Co-Promozione
Concetti
generati dal
consumatore
Controllo del Marketing (offerta e mix)
Controllo del consumo (esperienza e uso)
Pag.38
servizio. Questo coinvolgimento può andare da un semplice voto sul
colore del futuro prodotto, come ha fatto Lenovo per il nuovo
ThinkPad IBM, alla creazione di una piattaforma interattiva di
progettazione del prodotto che consenta un vero e proprio design
partecipativo.
 Co-promozione: L’azienda coinvolge un gran numero di
consumatori, generalmente attraverso un concorso, nella produzione
di immagini e filmati per le sue campagne pubblicitarie. Il richiamo
che si viene a creare costituisce già di per sé un’attività di
comunicazione.
 Co-produzione: In questo caso il consumatore non fornisce un
contributo generico alla progettazione di un prodotto o di un marchio
o alla definizione di una campagna, ma partecipa nella sua qualità di
consumatore. A questo scopo, l’azienda sviluppa modalità che
consentano al consumatore di personalizzare l’offerta di prodotto, in
particolare tramite piattaforme di self-serving (in opposizione a
semplici dispositivi di self-service). A questo aspetto funzionale si
accompagna anche un aspetto simbolico: nel momento in cui non
offre l’immagine del prodotto come USP (unique selling proposition,
proposta unica di vendita), ma consente invece la libera associazione
del prodotto a un significato fluttuante, l’azienda offre ai
consumatori la possibilità di permeare la propria esperienza di
consumo con qualsivoglia significato essi desiderino, come nel caso
Pag.39
di Red Bull22
- “strategia di costruzione del mito” che vedremo nei
prossimi capitoli quando parleremo di storytelling.
 Co-immaginazione: L’azienda incoraggia lo sviluppo di tutto ciò che
può sollecitare l’interazione quotidiana entro comunità di
appassionati di un determinato marchio, prodotto o servizio. In senso
ampio, ciò significa coinvolgere le storie delle persone : cosa
sarebbe un marchio senza il racconto delle esperienze vissute dai
suoi più convinti consumatori? A tal scopo, l’azienda sviluppa
piattaforme comunitarie, che inducono gruppi di utilizzatori a
mobilitarsi per produrre e riprodurre narrazioni. On line queste
piattaforme si traducono in siti comunitari, che posso assumere
forme diverse, come “my nutella the community” o come desmoblog
(blog.ducati.com) oppure off line, quali per esempio i raduni di
appassionati e altri rituali, cui ciascuno può prendere parte creando
una propria storia e condividerla con quelle di altre persone.
1.4.3 Brand image brand reputation brand story.
Per rispondere ai bisogni esistenziali del consumatore, la marca (brand)
deve quindi diventare un elemento in grado di interpretare le sue esigenze e
di proporre coerenti nuove esperienze di vita. Tale creazione di relazioni
profonde e durature con l’individuo contemporaneo può avvenire solo se il
brand crea mondi e personaggi mutevoli, ma sempre attuali, che gli
22
www.redbull.com/it/it/events
Pag.40
permettano di mantenere un senso di credibilità e autorevolezza23
; è
importante che la marca abbia “una storia da raccontare, che possa per un
tempo determinato sovrapporsi o confondersi con la storia dello
spettatore”24
. Il brand, pertanto, deve rielaborare continuamente il proprio
mondo vedendo il passato non solo come un serbatoio di ricordi, ma anche
un terreno da riscoprire in termini di stimolazione, ispirazione e creatività.
“I creativi leggono i sentimenti che la gente prova”25
Da sempre le marche hanno cercato di costruirsi un’immagine attraverso
gli strumenti del marketing, dall’advertising alle PR. Possiamo considerare
il concetto di brand image come la “marca che parla di sé”, che indossa un
bel vestito per piacere alla gente. Una forma piacevole che spesso è servita
a nascondere una sostanza non altrettanto splendente, come ci insegnano gli
scandali finanziari in cui sono state coinvolte alcune aziende come Enron e
Parmalat, oppure le campagne di boicottaggio che hanno colpito marchi
come McDonald’s, Nestlé, Shell, per citarne alcune.
23
Gnasso S., (2012) consumi e identità o della supremazia narrativa ai tempi della crisi. Lupetti editore, milano.
Storyline collana diretta da Andrea Fontana.
24
Morace F., Società felici, Scheiwiller, Milano 2004
25
Felice Limosani in “ ink and water – don’t mix – The future / www.felicelimosani.com
Pag.41
“ L’immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni,
passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove
generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza :
la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza.”26
Al contrario dell’immagine, una buona reputazione è il risultato di un
processo di creazione collettiva della percezione del brand.
Andrea Semprini27
in una sua definizione di marca dice: “ Una marca è
costituita dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità dei
soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione”.
Sono quindi “le persone che parlano della marca” a creare una buona o
cattiva reputazione. Una reputazione dipende molto di più dalla sostanza
dei comportamenti dell’azienda che dall’apparenza delle dichiarazioni di
chi ne gestisce le attività di comunicazione. E se da un lato non risulta
particolarmente difficile aumentare nel breve periodo la propria visibilità in
termini di notorietà, la reputazione non può essere condizionata o
manipolata facilmente: la fiducia delle persone, anche se può essere estorta
nel breve periodo, non può essere acquistata con l’immagine.
26
Naomi Klein 2010, No Logo, Baldini&Castoldi –“ La Bibbia del Movimento antiglobalizzazione NYT”
27
Andrea Semprini è il maggior specialista italiano della marca. Dirige l'istituto di ricerca Arkema
(www.arkema.com) e consiglia numerose grandi marche italiane e internazionali. Insegna all'Università IULM,
nell'unica laurea specialistica italiana dedicata alle strategie di marca. Sullo stesso tema ha pubblicato Marche e
mondi possibili (1993) e La marca (1997).
Pag.42
Il concetto di brand reputation riconosce quindi il crescente potere di
accesso alle informazioni delle persone e la situazione di aumentata
“trasparenza” in cui si trovano le aziende al tempo di internet.
Oggi un’informazione che un tempo poteva essere tenuta nascosta o
comunque arginata localmente, si diffonde tra i nodi della rete a
velocità supersonica.
Non ci sono più segreti: il mercato on line conosce i prodotti meglio delle
aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, tutti, prima o poi,
possono venire a saperlo. Tuttavia la reputazione, come abbiamo detto, si
alimenta di comportamenti e non di dichiarazioni.
Per questo è importante per l’azienda controllare costantemente
l’applicazione di norme, principi etici, valori, diffondendone la cultura
dell’organizzazione e vigilando affinché i comportamenti siano coerenti
con i valori e con i principi dichiarati.
La reputazione del brand non deve però essere intesa esclusivamente in
termini etici e valoriali, ma dovrebbe essere anche valutata in termini di
rilevanza economica, culturale, simbolica.
Per esempio, Diesel si distingue come brand anche per il sostegno che offre
a tematiche sociali, come lo sviluppo sostenibile e il surriscaldamento
Pag.43
globale, ma soprattutto per la capacità che ha di essere estremamente cool e
culturalmente attuale dal punto di vista della comunicazione e del design
dei suoi prodotti.
Più che alla semplice opinione positiva che le persone hanno sulla qualità
dei prodotti o dei servizi delle aziende, la reputazione ha a che fare con la
capacità di entusiasmare gli animi e di mobilitare le persone, in definitiva:
quando aziende e prodotti sono in grado di creare veri e propri sostenitori
del brand. Parliamo di brand advocancy: di come il brand è in grado di
alimentare consenso ed entusiasmo verso la propria causa, sostegno al
proprio” progetto di senso”, come direbbe Semprini.
Entusiasmare gli animi, emozionare e raccontarsi oggi è sempre più
frequente: le imprese si raccontano e raccontano i propri brand attraverso i
propri clienti (brand story). In meno di 15 anni il marketing è passato
prima da prodotto a logo, poi dal logo alla story; dal brand image a brand
story.
Pag.44
Chiudo questo paragrafo con un’emozionante video28
di brand story della
British airways India che racconta la storia di una mamma indiana e di suo
figlio espatriato che ha nostalgia della propria casa nativa. Una storia
toccante dove il brand ( Voli British airways) è defilato rispetto alla storia e
la storia tocca tutti noi. Video cliccato da 1,3 milioni di visitatori.
Enjoy…
28
http://www.youtube.com/watch?v=WPcfJuk1t8s
Pag.45
1.5 Un caso emblematico di Co-creazione:
Il Mulino che vorrei29
Chiudiamo questo capitolo con l’esperienza italiana di co-creazione di
maggior successo, Il mulino che vorrei. Nel marzo del 2009, Mulino
Bianco, endorsement brand della Barilla, da sempre all’avanguardia nel
campo del marketing e della comunicazione, ha deciso di inaugurare un
nuovo corso nel modo di relazionarsi con i consumatori.
Il Mulino che Vorrei è:
 “un progetto che non parla, ascolta”;
 “un progetto che non dice, fa”;
 “un progetto che non insegna, impara”.
L’idea è quella di creare una piattaforma, o meglio un ambiente in cui
consumatori e impresa possano incontrarsi per discutere, condividere idee e
creare contenuti: si tratta quindi di un progetto che vuole aprire a processi
di co-generazione di contenuti lasciando cadere il tradizionale confine che
separa le imprese dal pubblico dei consumatori. In questo caso si va oltre la
classica implementazione della piattaforma relazionale, anzi, nel Mulino
che Vorrei proprio i sistemi di relazione costituiscono uno dei fattori
determinanti per la realizzazione del progetto, si pensi all’integrazione
delle idee espresse dai gruppi su Facebook come nei casi del Pan di Stelle o
del soldino. Tutto ciò rende il progetto un laboratorio di idee che va oltre la
pura valenza strumentale della cassetta dei suggerimenti.( v. Fig.8)
29
http://www.nelmulinochevorrei.it/
Pag.46
Figura 8 La piattaforma : il mulino che vorrei
Il fatto che l’impresa sia coinvolta nella partecipazione rende il progetto
delicatissimo proprio perché la spinge a cedere parte delle sue prerogative
ai consumatori, con una perdita di controllo su alcune attività e alcuni
processi. Tutto ciò va oltre gli schemi tradizionali a cui le imprese da
sempre sono abituate.
Il progetto si è articolato in due tempi. Una prima fase di lancio, in cui il
Mulino Bianco si è presentata al pubblico spiegando i propri propositi ed
esponendo le ragioni dell’iniziativa:
 “Vogliamo raccogliere le vostre idee, analizzarle e, compatibilmente
con la nostra missione, visione e valori, realizzarle insieme”.
 “Non abbiamo pregiudizi, ci mettiamo in gioco: siamo pronti ad
ascoltare qualsiasi proposta, anche non coerente oggi con il nostro
lavoro”.
Pag.47
 “E chiediamo la vostra partecipazione: prenderemo in considerazione
tutte le idee, ma vi chiediamo di indicarci, votandole, le idee che
ritenete più interessanti”.
 Saremo trasparenti e partecipativi: tutte le idee che valuteremo
riceveranno una risposta pubblica di fattibilità o meno.
Una seconda fase di carattere operativo in cui l’azienda, attraverso un
percorso articolato in più step, ha passato al vaglio le proposte dei
consumatori sulla base dei criteri specifici per poi pervenire alla
selezione delle idee da realizzare concretamente.
Prima fase: Valutazione.
Seconda fase: Fattibilità e stima del potenziale.
Terza fase: Realizzazione.
Dopo la pubblicazione di ogni idea, Mulino Bianco interviene
prendendo in carica le dieci più votate sottoponendole al processo di
valutazione. Durante tutto il percorso i partecipanti continuano ad
inviare le proprie idee e a votare quelle degli altri. Non appena una delle
dieci idee inizia la fase di realizzazione o viene scartata, quella più
votata in quel momento entra nel ciclo di valutazione. Per tutte quelle
idee che non possono o non potranno diventare realtà, dopo averle
valutate, Mulino Bianco s’impegna a dare una spiegazione esaustiva del
perché della mancata realizzazione.
Di seguito alcuni esempi delle idee in corso di valutazione e sviluppo.
Le idee dei consumatori realizzate:
Pag.48
Il Soldino!
Allora, dato che i nostalgici reclamano il soldino a gran voce, che ne
dite di fare un soldino con l’euro? A testimonianza del fatto che Mulino
Bianco è una certezza che ci accompagna da quando eravamo piccoli a
oggi che siamo genitori! Tutto passa…Mulino Bianco resta!
Nuove confezioni Pan di stelle luminose
Sarebbe bello fare in modo che le stelline delle confezioni merendine e
biscotti Pan di Stelle potessero essere fosforescenti o in qualche modo
luminose. Poterle vedere al buio credo sarebbe molto stimolante per i
piccoli, che una volta finito il pacco di biscotti o merendine potrebbero
ritagliarsi la carta e farsi il loro piccolo angolo di cielo stellato.
Le idee in fase di realizzazione:
Sosteniamo le Oasi WWF
Vorrei proporre un nuovo formato di biscotto a forma di panda
(utilizzando lo stesso impasto degli Abbracci) vendendoli con un
sovrapprezzo di 10-15 centesimi a pacchetto. I soldi raccolti andranno a
sostegno delle Oasi WWF Italia.
Le idee in fase di valutazione:
Un Mulino vero!
Costruire un vero mulino che possa diventare un parco dei divertimenti:
con giostre fatte con ingredienti giganti. Per esempio, farei gli
autoscontri con tazzine giganti e montagne russe a forma di merendine.
Pag.49
Il Mulino che Vorrei è un esempio molto significativo di co-creazione (
co-generazione) di valore. Non s tratta semplicemente di un nuovo
modo di fare comunicazione impiegando le attuali tecnologie web, e
nemmeno un progetto innovativo di marketing.
In realtà il Mulino che Vorrei rappresenta un cambiamento di
prospettiva dell’azienda, un cambiamento che passa per un sostanziale
ripensamento del modo di intendere il mercato, i consumatori e il ruolo
dell’impresa. Anzi, proprio i risultati ottenuti e i contributi offerti dai
consumatori hanno fatto capire a Barilla che Mulino Bianco rappresenta
qualcosa di più che una semplice fabbrica di biscotti. Se si guarda alle
proposte avanzate dai consumatori, come il ritorno del Soldino o le
nuove confezioni luminose di Pan di Stelle, ci si accorge che queste idee
nascondono una carica di nostalgia e di sogno, chiaro segnale di come i
prodotti e la marca Mulino Bianco siano strettamente intrecciati con la
vita delle persone, con il loro passato e con le loro aspirazioni per il
presente e il futuro.
E’ proprio in questa nuova dimensione del consumo, e nella funzione
che esercita nel vissuto quotidiano delle persone, che si colloca
l’eccezionalità del progetto il Mulino che Vorrei, un progetto precursore
di un nuovo modo di intendere il marketing e che contribuisce alla sua
definizione in maniera propositiva e non più semplicemente facendo
ricorso alla negazione del passato (non – convenzionale)
Pag.50
2. S is for Storytelling
La comunicazione nella logica narrativa.
2.1 Introduzione allo Storytelling.
in dall’antichità il coinvolgimento di un pubblico passa attraverso
la narrazione di storie: uno strumento universale e potente per
facilitare la condivisione di messaggi tra individui ed
organizzazioni.
Le storie hanno sempre avuto un valore fondamentale nei rapporti umani,
permettendo di diffondere la cultura, organizzare il mondo circostante,
creare l'identità sociale di ognuno, stabilire delle connessioni emotive e
soprattutto ricordare.
Dal tempo dei faraoni dell’antico Egitto, con le storie degli scribi che li
decantavano, alle saghe scandinave, dalle eziologie alle vite dei santi, fino
ai giorni nostri con lo sviluppo del digital storytelling, il potere
dell’immaginazione ha permesso all’uomo di inventare storie e trasmetterle
agli altri attraverso diverse modalità di trasmissione, dalla semplice oralità,
ai testi scritti, fino agli strumenti multimediali.
Narrare infatti è un’attività molto antica adoperata dall’uomo per
comunicare ai suoi simili la propria conoscenza e consapevolezza di eventi,
cose e persone.
S
“Dimmi e dimenticherò, mostrami e
forse ricorderò, coinvolgimi e
comprenderò“. Confucio.
Pag.51
Narrare vuol dire “far conoscere”. Lo suggerisce anche l’etimologia
presente nel lessico latino, il verbo “narrare” deriva dalla radice
indoeuropea gnâ (accorgersi, sapere), da cui deriva anche il verbo latino
conoscere (cfr. Poggio 2004).
Un narratore quindi, attraverso informazioni note solo a lui, può rendere
partecipi della propria personale esperienza altre persone. La narrazione è
uno degli strumenti più utili alla condivisione dell’ esperienza del singolo
con una più ampia comunità.
Mediante la narrazione si viene a costruire una parte rilevante di quel
patrimonio di memorie e di esperienze che definiscono un’intera tradizione
culturale (miti, leggende, racconti).
In passato infatti la trasmissione delle conoscenze veniva esclusivamente
per forma orale (la parola), dato che la scrittura non si era ancora
sviluppata o era privilegio per poche persone, e quindi l’unico modo per
preservare la cultura e la memoria storica della società era quello di ripetere
costantemente i racconti in modo che divenissero delle tradizioni.
Il mistero racchiuso in ogni “parola” è ancora oggi uno dei temi più
dibattuti di tutta la storia dell’umanità. La sua capacità di incantare,
trasformare, persuadere, terrorizzare la rende uno strumento molto potente,
malleabile ma difficilmente controllabile.
Un tema certo non nuovo, le cui origini possono essere rintracciate già a
partire dalla cultura greco-romana, culla della retorica e della poetica,
patria di grandi filosofi e dei primi grandi poemi, da Omero a Virgilio. Lo
studio delle strutture e dei generi narrativi nasce da qui, per poi essere
ripreso intorno agli anni 60-70 del 900 ( Narratologia: termine coniato dal
Pag.52
filosofo Tzventan Todorov)30
ed esplodere nel nostro secolo dove la
riflessione è andata spostandosi in nuove aree di pensiero: dal folclore
all’antropologia, dalla comunicazione, alla psicologia, al marketing.
Ci si potrebbe chiedere per quale motivo sia emerso questo rinnovato
interesse nei confronti del racconto e come si sia sviluppato il pensiero nel
corso degli anni a tal proposito.
I perché possono essere molteplici ma derivano soprattutto da quanto
abbiamo detto all’inizio: da sempre la parola risulta essere uno strumento
che contraddistingue l’uomo, e che lo identifica come tale rispetto al
mondo animale, pertanto avere una padronanza dello strumento non solo è
importante oggi ma è un elemento strategico capace di creare a vari livelli
(aziendale, individuale, politico, sociale) un vero e proprio vantaggio
competitivo.
Questo è ancora più vero se pensiamo alla situazione attuale caratterizzata
da un overload informativo, un’overdose cognitiva che ha invaso tutti i
campi, grazie soprattutto all’evoluzione della tecnologia, madre dei social
network, dei blog e delle recenti applicazioni fruibili con semplici
apparecchi mobili.
Potremmo aggiungere : “Attraverso la narrazione, intesa come contesto
privilegiato di rielaborazione di dati e informazioni, è possibile attivare
veri e propri processi di costruzione di nuova conoscenza e
apprendimento. Ciò attiverebbe la capacità di mettere in relazione gli stati
interiori con la realtà esterna, di ricollegare il passato con il presente in
un’ottica di proiezione nel futuro e, infine, di rendere possibile la
30
Tzvetan Todorov ( bulgaro : Цветан Тодоров ) (nato il 1 marzo 1939) franco- bulgaro è uno storico , filosofo ,
critico letterario , sociologo e saggista. E 'autore di numerosi libri e saggi, con una influenza notevole in
antropologia , sociologia , semiotica , teoria della letteratura nel pensiero della storia e teoria della cultura .
Pag.53
percezione degli individui come soggettività dotate di scopi, valori e
legami. ”31
. La narrazione, o storytelling, è considerata uno dei meccanismi
più interessanti non solo come strumento di rielaborazione cognitiva dei
contenuti, valori, pratiche culturali, ma anche come dispositivo per
socializzare la conoscenza, condividerla e rielaborarla collettivamente.
Attraverso racconti, piccoli miti e “storielle”, infatti, sia nelle piccole
imprese sia nella grandi organizzazioni, circola gran parte dei saperi,
formali ed informali, delle istituzioni (Salmon, 2007).
Essa è da tempo oggetto sconfinato di studi da parte di diverse discipline:
ha svolto un ruolo centrale nella riflessione filosofico - semiologica
(Barthes, 1973; Greimas, 1983; Eco, 1979); gli psicologi ne hanno indagato
le potenzialità come strumento cognitivo e mnemonico (Bruner, 1986);in
ambito più specificamente sociologico è stato esplorato il ruolo delle storie
nel collocare socialmente i frame dell’esperienza individuale (Bateson,
1979); altre scuole si sono soffermate nello specifico sulle storie mediali,
evidenziando il ruolo della fiction televisiva nel raccontare, ma soprattutto
nel modellare, la realtà (Gerbner, 1985).
Viviamo in una dimensione narrativa. Dall’automobile alla camera da
letto, dai cellulari ai reality televisivi, la nostra vita quotidiana è
costantemente avvolta da una rete narrativa che filtra le nostre percezioni,
stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, eccita i nostri sensi,
determinando risposte multisensoriali.
La narrazione è stata indagata per il suo potere emozionale, utile a costruire
una rete di valori, sottostanti ai fatti, che progressivamente alimentano
l’ossatura identitaria ed emozionale dell’individuo, riuscendo a veicolare
31
C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009
cit. p.25
Pag.54
un insieme di credo e valori professionali, politici e identitari spesso più
forti di quelli basati sulla razionalità (Salmon, 2007).
Narrare con emozione sta a significare che raccontiamo esperienze
soggettive con elevata intensità, di breve durata, caratterizzata da un basso
controllo sul comportamento e da immediatezza.
Le emozioni determinano modificazioni nella fisiologia (cardiaco o del
ritmo come ad esempio aumento del battito cardiaco o del ritmo
respiratorio).
Lo storytelling è ormai pervasivo della vita umana, sia la nostra vita
personale che : quella di lavoro, perché la nostra realtà ha una struttura
discorsiva. Ma lo storytelling non è un semplice raccontare storie. E’ molto
di più. E ‘una disciplina e un metodo di lavoro.32
Siamo in un periodo di assedio testuale all’interno di un’economia del
simbolico: ogni sette anni l’insieme delle nostre conoscenze viene travolto.
Ogni diciotto mesi il potere elaborativo delle nostre “macchine” raddoppia.
Tutti i giorni, ogni nostro gesto di consumo (culturale, fisico, emotivo)
dipende da trame di desiderio non razionali che sono una sintesi decisionale
multisensoriale, che deriva dalla nostra memoria autobiografica, la quale è
di natura narrativa e funziona come una fiction su “format discorsivi” . Non
è forse vero che l’incitazione al consumo contemporaneo passa
32
Andrea Fontana Co-Founder Storyfactory e docente di "Storytelling e Narrazione d'Impresa" Università di Pavia
Esperto di strategia aziendale, comunicazione d’impresa (aziendale e politica) e people engagement, con i suoi testi
e le sue ricerche ha aperto in Italia il filone di riflessione e applicazione operativa sul “Corporate Storytelling”.
Dal 2005 infatti insegna “Storytelling e Narrazione d’Impresa” all’Università di Pavia e dal 2001 “Metodologia della
formazione” all`Università degli Studi di Milano-Bicocca. Direttore della collana editoriale Storyline, collana dedicata
alle scienze della narrazione, che ha fondato e lanciato insieme all’editore Lupetti. E’ presidente dell’Osservatorio
Italiano di Corporate Storytelling presso l’Università degli Studi di Pavia, e autore di numerosi testi di cultura
manageriale.
Ha scritto il primo manuale italiano sul corporate storytelling – Manuale di Storytelling, edito da Etas-Rizzoli, con cui
ha pubblicato anche Story-selling e Storytelling Kit.99 esercizi per il pronto intervento narrativo.
Pag.55
dall’espressione di sé, che in fondo è un’incitazione (un po’ coattiva) a
raccontarsi? Come sottolineato da un profondo conoscitore di queste
dinamiche, ormai essere se stessi non basta più. Bisogna diventare la
propria storia.33
Abbiamo precedentemente detto che lo storytelling è molto di più del
semplice raccontare storie. E’ un approccio comune a molte scienze: dalla
sociologia all’economia, dalla giurisprudenza alle scienze politiche, lo
storytelling diviene anche una disciplina manageriale e organizzativa, che -
in questo “accerchiamento narrativo” – diventa strumento indispensabile
con cui essere ascoltati34
.
Un mezzo per sedurre e convincere, influenzare i pubblici di riferimento
(elettori e clienti), espandere le conoscenze, condividere esperienze e prassi
di lavoro. Formare identità istituzionali e personali. Riformulare decisioni
politiche ed economiche. Gestire controllo e potere. Un dispositivo
esistenziale e socio-professionale per costruire e governare il proprio
mindset di riferimento. Esiste quindi un connubio profondo tra narrazione,
business, organizzazione e potere? Nei prossimi paragrafi cercherò di
arrivare ad una risposta. L’escalation nell’interesse per la narrazione è
evidente in tanti ambiti della nostra società. Questo interesse e questa
diffusione sono naturali. In una società complessa, conoscitiva, a poteri
multipli, la narrazione è un sofisticato mezzo retorico di presidio e scambio
del potere, un modo per gestire la percezione dei pubblici che all’interno di
società conoscitive sono sempre più sofisticati ma anche sempre più
assuefatti. Come abbiamo precedentemente detto lo studio della narrazione
33
Salmon C.(2008) storytelling. La fabbrica delle storie, trad. it. Fazi, Roma.
34
C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009
Pag.56
trova applicazione in vari ambiti anche lontani dalla loro origine iniziale.
Uno di questi ambiti si chiama impresa.
Adesso, dopo questo excursus concettuale, è venuto il momento di
occuparci più da vicino delle organizzazioni e dei tecno-sistemi che per
conservarsi, svilupparsi, innovarsi e competere, devono ormai vivere
narrativamente.
2.2 Il contesto
Ho voluto affidare la descrizione del contesto in cui operiamo alle parole di
Frank Rose35
partendo da questa domanda:
C'è un sottile filo conduttore che lega Omero a Batman? Forse sì, forse no.
36
Il bello è che non ha la minima importanza. Il fattore comune tra i cantori
del passato e registi di oggi come Cristopher Nolan (l'autore dell'ultima
trilogia del Cavaliere Oscuro) è proprio l'arte di raccontare storie. Che si
tratti di una città sotto assedio da parte degli Achei o di una pericolosa
35
Antropologo digitale (come si definisce lui stesso sul suo sito), è uno scrittore e giornalista che si occupa di new
media e del loro impatto sulla società. Ha pubblicato su «Wired», «Fortune», «The New York Times Magazine», e
«Rolling Stone». - Frank Rose esplora i confini dello storytelling digitale anche nel suo blog Deep Media: una vera
miniera da cui attingere ispirazione per immaginare il futuro dei film, della TV e anche del giornalismo. Omero
raccontava le gesta di Troia, Christopher Nolan quelle di Gotham City: sebbene li separino millenni nelle loro storie
c'è sempre spazio per la fantasia. Il suo ultimo libro: "Immersi nelle storie" di Frank Rose – Codice Edizioni, 2013.
36
http://www.festivalscienzalive.it/site/home/conferenze/articolo3010689.html
Pag.57
banda di criminali, il racconto delle gesta di eroi e antieroi passa sempre
attraverso meccanismi di coinvolgimento del pubblico.
Ma le storie cambiano, così come il modo di raccontarle: con il passare dei
secoli la recitazione in pubblico dei poemi epici è stata sostituita dalla
lettura solitaria dei libri. Al teatro si sono affiancati il cinema e la
televisione. Negli ultimi venti anni è arrivata Internet. Prima in sordina, poi
esplodendo attraverso il Web.
Le cose sono cambiate radicalmente, e il pubblico si è trasformato da
semplice ascoltatore ad attore in grado di dialogare con i propri eroi. È qui
che fa la sua comparsa Frank Rose, antropologo digitale e giornalista che si
occupa di new media.
Nel suo libro “Immersi nelle storie” ha raccolto le nuove frontiere della
narrazione, dai videogiochi fino alle serie televisive come Lost e Mad Men.
Ha cercato di immaginare cosa succede quando gli spettatori si appropriano
di pezzi di trama e cominciano a raccontarli a modo loro. Anche l'industria
dell'intrattenimento si è accorta del cambiamento di paradigma – da
ascoltatori passivi a utenti attivi – e ha iniziato a sperimentare nuove storie
sempre più interattive.
Il panorama del racconto multimediale ha assunto i colori più vari, dalle
web series diffuse su Youtube fino allo storytelling condiviso narrato da
centinaia di persone diverse. La storia non finisce qui, vedremo il tutto nel
quarto capitolo di questa tesi sul digital storytelling d’impresa.
Pag.58
2.3 Perché occuparsi di storytelling.
Prima di parlare delle tecniche del racconto dobbiamo affrontare una
questione di fondo: perché le storie funzionano? Come mai la narrazione è
così potente? La contro-narrazione. Cos’è l’ascolto e la sua memorabilità?
Sono state scritte tonnellate di pagine su questo tema. La domanda, però, è
meno banale di quanto potrebbe sembrare. Tutta la questione delle tecniche
del racconto parte da qui: come suscitare ascolto per la memorabilità.
Quante volte guardando un film o leggendo un romanzo, ci siamo sentiti
rapiti dalla storia? Questa particolare esperienza di ascolto prende un nome
specifico. Si chiama storylistening trance experience.
“Quando una persona racconta una storia e l’altra ascolta attivamente, i
loro cervelli iniziano immediatamente a sincronizzarsi”. 37
Figura 9 Storylistening trance experience
37
Stephens, Silbert, Hasson, 2011 – Osservatorio di corporate storytelling
Pag.59
2.3.1 Cos è la storylistening trance experience?
La trance narrativa da ascolto è infatti la conseguenza diretta di ogni
efficace operazione narrativa. Indipendentemente dall’intenzionalità che sta
dietro il racconto, quando ascoltiamo, vediamo o recepiamo una storia
cadiamo naturalmente in questo stato di coscienza alterato rispetto alla
norma, che porta a identificarci completamente con l’oggetto della
narrazione e con chi sta raccontando (storyteller), inducendoci a
sospendere la nostra incredulità.
E’ un meccanismo interessante.38
Come soggetti razionali siamo sempre critici, ma come soggetti psicologici
siamo portati ad annullare la nostra capacità critica e ad auto ingannarci.39
La narrazione e lo storytelling sfruttano – senza necessariamente
un’intenzionalità perversa – questa propensione al credere e
all’autoinganno volontario, consapevolmente attuato, perché partecipato,
nella costruzione di un “testo”. Psicologicamente, abbiamo bisogno di
credere a questa esigenza che richiede una struttura narrativa di risposta.
Per questo, se dobbiamo raccontare qualcosa dobbiamo partire da tale
bisogno fisiologico.
La trance d’ascolto è tutt’altro che una sensazione immediata. Esistono
alcune tappe che in un lasso temporale variabile ci fanno “perdere” in una
narrazione, indipendentemente che questa sia rappresentata da un libro, un
film, un comizio elettorale, un seminario accademico, un pettegolezzo tra
amici, un discorso commerciale, lo spot di un grande brand, e così via.
38
Fontana A., Storyselling – strategie del racconto per vendere sé stessi, i propri prodotti, la propria azienda,(2010)
Rizzoli, Etas, Milano.
39
Goleman D., Menzogna, autoinganno, illusione, trad.it Rizzoli, Milano,1998
Pag.60
Queste tappe da conoscere se si vuole costruire un set di racconti
influenzanti, possono essere così suddivise (in figura). Le tappe di una
storylistening trance experience40
pur seguendo una linearità, dipendono
anche dalla narrazione che abbiamo di fronte, dalle sue caratteristiche e dai
media communication scelti per raccontarsi. Certo che se vogliamo
raccontare noi stessi, le nostre aziende o i nostri prodotti, l’arco di
esperienza della trance narrativa ci consegna alcune domande importanti in
ogni fase ( in corsivo):
Figura 10 Le tappe di una storylistening trance experience
 Contatto : è il momento in cui entriamo fisicamente in contatto con
la narrazione attraverso i cinque sensi. Possiamo vedere, ascoltare,
gustare un oggetto narrativo;
 D: in quale scenario narrativo fisico è immerso il mio interlocutore?
(cosa ascolta, sente, mangia, gusta, percepisce e così via);
 Familiarità: è il momento in cui prendiamo confidenza con
l’oggetto narrativo, e così facendo iniziamo ad avere fiducia in esso;
40
Sturm B., “ The storylistening trance experience”, in journal of American Folklore,2000.
Pag.61
 D:Quali sono i grandi temi esistenziali con cui posso entrare in
confidenza con il mio pubblico?(E’ interessato all’amore, al potere,
alla famiglia, al risparmio e così via);
 Immersione: è il momento in cui “entriamo” completamente
nell’oggetto narrativo. Immergendoci in esso, ci perdiamo e la
narrazione prende vita.
 D: come possiamo catturare le nostre audience? (in quale cultura
sono immerse e per cosa si emozionano?);
 Identificazione: una volta che la narrazione prende vita e noi “siamo
dentro”, ci identifichiamo completamente con gli elementi del
racconto. Questi diventano parti integranti delle nostre autobiografie
e si “innestano” nelle nostre memorie fisiche, emotive e cognitive;
 D: in quale momento biografico si trova il mio interlocutore e quali
problematiche di vita sta vivendo? (In modo tale da poter innestare
la mia proposta nel suo arco esistenziale);
 Emersione: a un certo punto la narrazione giunge al termine, il libro
finisce, il film termina, il comizio si chiude, e piano piano
emergiamo dalla narrazione tornando al “mondo reale” e uscendo da
quello stato piacevole di perdita di noi stessi che aveva caratterizzato
le fasi precedenti;
 D:torniamo alla dimensione fisica e chiediamoci quindi: cosa vivrà
l’interlocutore nel momento in cui uscirà dal mio mondo
narrativo?(dove si trova, cosa vedrà e ascolterà, come potrò
ulteriormente influenzare la sua esperienza spazio-temporale: nel
cinema, a scuola, alla stazione, nel punto vendita, e via dicendo);
 Distanziazione: il tempo passa, la narrazione è terminata e ne
prendiamo le distanze, ce ne dimentichiamo, ma pur essendoci
Pag.62
distaccati qualcosa rimane dentro e lavora. Ricordi di ogni tipo ci
seguono: profumi, personaggi, immagini, testi, contesti, figure,
frasi…
 D: quali azioni posso fare per ri-attivare le memorie narrative del
mio interlocutore, su quali canali e con quali strumenti? (quali
action sequel progettare e attuare);
 Trasformazione (relativa): a distanza di tempo, la narrazione ha
messo in moto alcune dinamiche psicologiche profonde
(assolutamente soggettive) che portano a piccoli o a grandi
cambiamenti interni. Una nuova idea che si insinua dentro di noi, un
nuovo modo di vedere le cose che mi porto sul lavoro, un nuovo
comportamento che decido di adottare. O anche semplicemente un
nuovo stato d’animo che mi porto a casa, che magari dura pochi
minuti ma che è stato comunque sintomo di una mia, pur breve,
trasformazione.
 D: come rinforzare l’esperienza del microcambiamento interiore del
mio interlocutore? ( quale Customer user experience positiva ha il
soggetto dei miei prodotti, di me stesso, della mia azienda e come
rinforzare questo tipo di esperienza/percezione)
Questo arco di esperienza si ha quando la storia che ci viene narrata ci
appassiona. E una storia ci appassiona se ha determinate caratteristiche:
realismo, sense of wonder, emozione autobiografica e, soprattutto, resa del
sé, cioè quel processo attraverso cui sospendiamo la nostra incredulità, ci
arrendiamo alla storia e ci identifichiamo con l’oggetto del racconto.
Pag.63
2.3.2 Perché ci piacciono le storie: da un punto
di vista psicologico.
Studi neuro-scentifici dimostrano che il nostro cervello è più incline a
ricordare storie piuttosto che fatti o dati e che, quindi, le informazioni con
cui si è entrati in contatto durante la giornata, vengono facilmente
dimenticate se non sono parte di una narrazione.
Perché?
La nostra mente ragiona narrativamente. Ciò che ci circonda viene
interpretato a livello di narrazione, le esperienze e le situazioni in cui ci
troviamo sono tutte storie in cui i vari elementi si ricollegano (in maniera
più o meno logica).
La nostra identità sociale è definita dalle storie che ci caratterizzano. Ci
poniamo nel mondo come un "carattere", che si definisce in base alle nostre
esperienze, relazioni ed atteggiamenti.
Le connessioni con gli altri si basano su storie ed esperienze vissute
insieme. Ci confrontiamo con la società in base alle storie che si creano
all'interno del nucleo di cui facciamo parte, la profondità dei rapporti che
abbiamo con gli altri è definita soprattutto dal modo in cui le loro storie si
collegano alla nostra.
Rappresentano il perfetto incontro tra logica e creatività. Le storie ci
permettono di dare un senso logico ai fatti, ma anche di interpretarli, di
legarli alle emozioni. In questo senso, la narrazione rappresenta uno stretto
collegamento tra i due emisferi del nostro cervello, tra la ragione e
l'emozione.
Pag.64
Creano ordine, organizzando gli eventi in strutture logiche. Ci permettono
di capire gli eventi che accadono, di trovare spiegazioni, costanti, errori e di
sapere come comportarci in situazioni tra loro simili. Questo principio sta
alla base del senso di "conforto" che deriva dal trovarsi in una situazione
riconosciuta come familiare.
Creano connessione. Ci permettono di legarci emotivamente a persone o
avvenimenti molto lontani sia a livello fisico che culturale, creano empatia
con il personaggio, permettendoci di emozionarci con lui, soffrire, gioire,
piangere.
2.3.3 Perché ci piacciono le storie: da un punto
di vista pubblicitario.
Il valore della narrazione nel marketing sta nel poter sfruttare tutti questi
elementi a vantaggio del messaggio da trasmettere. Le storie non solo si
imprimono molto facilmente nella nostra mente, ma suscitano anche delle
emozioni, creando un legame tra chi le ascolta e chi le racconta (nel nostro
caso, il brand).
Quindi, reinterpretando i punti precedenti in un contesto pubblicitario, le
storie:
• Riproducono strutture di pensiero a noi familiari
• Definiscono "l'identità sociale" del brand
• Inseriscono il brand all'interno di un sistema di valori, umanizzandolo
Pag.65
• Permettono di interpretare il suo senso logico a livello emotivo
• Restituiscono una sensazione di conforto riproducendo strutture narrative
familiari
• Ci legano emotivamente al personaggio della storia, e quindi al brand cui
è collegato
Risonanze magnetiche funzionali hanno mostrato che quando si tratta di
valutare un brand, il consumatore si basa sulle emozioni (sentimenti ed
esperienze personali) che associa alla marca piuttosto che sulle
informazioni (attributi del brand, statistiche, etc.) che ha a sua disposizione.
Inoltre, ricerche di mercato hanno dimostrato che la risposta emotiva ad
una pubblicità influenza l'acquisto molto più del suo stesso contenuto.
Ecco quindi come emerge la necessità per il brand di suscitare delle
emozioni nel consumatore creando un legame con lui.
Quale modo migliore di farlo se non con le storie? Un messaggio esposto
sottoforma di narrazione rende il suo significato immediatamente
percepibile, facilmente ricordabile ed altamente emozionale, superando le
barriere geografiche, linguistiche e culturali.
Pag.66
2.4 Il potere della narrazione e della contro-
narrazione.
Quando decisi di studiare per questa tesi che avete nelle mani l’ho pensata
come un approccio teorico e pratico in modo da ottenere uno strumento
utile al fine di comprendere con esempi l’utilità dello storytelling. Di
seguito saranno descritti due esempi : il potere della narrazione e della
contro narrazione.
Case History: Ferrero- Brand Nutella
Non ci sono solo narrazioni, quello che sta accadendo oggi e che angoscia
le aziende e le organizzazioni corporate, ma fondamentalmente tutti noi, è
il fatto che esistono contro-narrazioni. Io non soltanto posso raccontare
qualcosa incrementandone il valore (economico, sociale ,ideale) a seconda
che questo qualcosa sia un brand, un prodotto, un territorio, una persona
ecc. ma posso anche contro-narrare (in positivo o negativo) e questo è un
altro motivo del perché stiamo parlando di storytelling.
Qui di seguito c’è un frame di un video che ci servirà a capire il potere
delle narrazioni e delle contro-narrazioni. Il video racconta Nutella come
un prodotto salutare: Claudio Silvestri cuoco della Nazionale di calcio “al
mattino non ho dubbi: frutta, latte, pane e nutella…”
Pag.67
41
2011: Il potere della contro-narrazione. “ a me piac a Nutella”42
2014 Nutella si racconta nuovamente.43
41
Spot Tv Nutella Nazionale Italiana http://www.youtube.com/watch?v=wIN18YTlsXY
42
A' Mè Me Piac A' Nutell - Piccolo Lucio http://youtu.be/7WMaDyA8F0A
43
Nutella - 50 anni di Emozioni insieme http://www.youtube.com/watch?v=XiCgeBX8QfY
Nutella narrata da nutella, lo spot
mette in evidenzia l’aspetto
salutistico del prodotto: al mattino
non ho dubbi: frutta, latte, pane e
nutella…”
Il piccolo Lucio Vario un ragazzino
napoletano, paffutello, lancia un video
molto trash che diventa un cult con
milioni di view ( ad oggi sono
10.581.534) contro l’allora poche
migliaia di like del video original spot
Nutella.
Il potere della contro-narrazione della
Nutella fatta da questo video è una
derubricazione del raccordo primordiale
del prodotto. Lucio Vario riporta il
prodotto ad un abuso quasi smisurato
della Nutella, sicuramente non
salutistico.
Cosa accade oggi(una cronistoria).
Dopo circa tre anni nutella brand
Ferrero cerca di raccontarsi in maniera
diversa dopo l’episodio di contro-
narrazione del proprio prodotto.
Questo dimostra come il racconto di un
prodotto è in mano a tutti e non solo ai
brand. I brand sono costretti a reagire
ai racconti fatti dai consumatori.
Pag.68
2.5 Il potere dello storytelling: un’infografica
Pag.69
Pag.70
2.6 Le storie sono strategie
Per poter generare un ascolto memorabile bisogna conoscere molto bene le
tecniche del racconto. I termini storia, discorso e narrazione, sono spesso
usati come sinonimi; anche io spesso in questa tesi li ho usati come
equivalenti, ma non sono la stessa cosa.
Secondo le definizioni che ci derivano dalle scienze del linguaggio e dalla
critica letteraria possiamo fare una prima distinzione:
 Una storia (History) : è l’insieme degli eventi descritti secondo una
successione logica e cronologica, è il contenuto di un certo racconto.
 Un racconto (story): è la forma del discorso con cui una certa storia
viene raccontata. E’ un’elaborazione di vicende reali e immaginarie.
E’ la forma del contenuto enunciato.
 Una narrazione (narrative) : è l’atto attraverso cui una certa storia è
concretamente veicolata da qualche attore verso qualche pubblico.
Ma soprattutto: Una storia-narrazione è un media.
Pag.71
La storia, infatti, è un media linguistico, in altre parole, se voglio
raccontare qualcosa a qualcuno devo avere un contenuto che poi elaboro in
una forma particolare di discorso (racconto) che a sua volta possiede una
trama e un genere, e che si posiziona nella memoria dei miei interlocutori
attraverso una procedura linguistica-iconica (immagini, parole, suoni,
atmosfere e così via. Una buona storia non solo risponde alla sete della
ragione, ma fa venire i crampi allo stomaco e fa battere il cuore. Per questo
manda in trance. Per costruire una storia d’impresa occorre avere una
strategia. Lo storytelling è prima di tutto un’attività strategica, perché la
narrazione è sempre un gesto strategico e un evento di interrelazione
sociale e istituzionale che qualche autore produce per qualche destinatario
che ascolta e poi interagisce interpretando. Il nostro obiettivo è generare
attenzione e memoria, e la narrazione produce, in un’audience, curiosità e
ricordo. Abbiamo detto che una storia è un gesto strategico e inventivo è
scritta o orale ed è sempre un prodotto e un processo: in altri termini, una
storia è un “cosa” e un “come”44
E’ un “cosa” perché è un atto comunicativo che contiene:
 Un insieme di personaggi: che nel nostro caso potrebbero essere gli
individui, le aziende, i prodotti e i servizi;
 Un’articolazione di temi: di base strategici per le intenzioni
comunicative.
 Un sistema di azioni: cioè situazioni in cui un personaggio ha un
ruolo attivo, consapevole o inconsapevole;
 Un’ambientazione spaziale e temporale: i luoghi e le cronologie in
cui la storia si svolge e viene raccontata;
44
Greimas A.,Courtes J., Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad.it. Mondadori, Milano,
2007.
La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling
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  • 1. Università degli Studi di Foggia Dipartimento di Economia Corso di Laurea Magistrale in Marketing Management Tesi di Laurea In Comunicazione d’impresa LA COMUNICAZIONE STRATEGICA D’IMPRESA NELLA LOGICA NARRATIVA: THE CORPORATE STORYTELLING Relatore: Laureando: Ch.ma Prof.ssa Enrica Iannuzzi Giuseppe di Brisco Correlatore: Felice Limosani ANNO ACCADEMICO 2013/2014
  • 2. Pag.1 La Comunicazione strategica d’impresa nella logica narrativa: The corporate storytelling.
  • 3. Pag.2 Indice Parte Prima 5 I Personaggi della tesi 7 Introduzione La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità 13 Alcune riflessioni 15 Il ruolo strategico della comunicazione: le relazioni 20 La corporate communication: il management 27 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione 30 Le imprese verso la co-creazione 36 La working consumer 39 Brand image Brand reputation Brand story 45 Un caso emblematico di co-creazione: Il Mulino che vorrei Parte Seconda S is for storytelling. La comunicazione nella logica narrativa. 50 Introduzione allo storytelling 56 Il contesto 58 Perché occuparsi di storytelling 59 La storylistening trance experience 63 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista psicologico 64 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista pubblicitario 66 Il potere della narrazione e della contro narrazione: Ferrero - Brand Nutella 68 Il potere dello storytelling: un’infografica 70 Le storie sono strategie 76 Learning point
  • 4. Pag.3 Parte Terza Lo storytelling in action Trame Format Strutture 78 Le trame d’impresa più diffuse 82 Lo schema narrativo canonico 86 Christopher Vogler: Il viaggio dell’eroe 90 Christopher Booker: the seven basic plots 97 Gli ambiti di applicazione dello storytelling 100 I canali delle storytelling operations 107 Il piano per le storytelling operations 108 Vantaggi dello storytelling 112 Criticità e problematiche dello storytelling 116 Learning point Parte quarta Visual Digital storytelling 119 L’evoluzione dello storytelling 125 The power of visual storytelling 132 Digital storytelling 135 Digital storytelling e social media 138 Internet isn’t much without conversation di Felice Limosani 141 Dal digital al Transmedia storytelling 143 Transmedia e brand story 146 Brand gamification e advergame
  • 5. Pag.4 Parte quinta Felice Limosani digital storyteller 147 Limos 150 Come realizzare i pensieri del mondo contemporaneo 153 Perché abbiamo bisogno di racconti? Case History 156 Coca-Cola Journey: ecco come lo storytelling influisce sulle strategie aziendali 160 Jack Daniel’s trasforma i discorsi da bar in brand storytelling 163 Narrazione e identità: Dove 166 Papa Francesco genio del marketing e dello storytelling di Bruno Ballardini 171 Conclusioni 175 Bibliografia 179 Sitografia e Videografia 184 Tools 185 Indice figure 186 Allegati 190 Ringraziamenti
  • 6. Pag.5 I personaggi della tesi: Prof.ssa Enrica Iannuzzi (1975), Relatore. Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese. Professore Aggregato di Comunicazione d'impresa. Principali interessi di ricerca :comunicazione d’impresa teorie organizzative, approccio neo-istituzionalista, governance d’impresa , analisi delle relazioni intra e inter-organizzative, ristrutturazione organizzativa e misurazione delle performance di Ateneo, marketing relazionale. Felice Limosani (1966), Correlatore. E’ creativo interdisciplinare. DJ e producer negli anni '80/90. Nel 2000 ha fondato la start up SKYBAR (Bain Cuneo Associati) creando per Nokia le prime app ludiche di telefonia mobile. Innovatore della comunicazione artistica, i suoi lavori sono riconosciuti per il coinvolgimento estetico ed emotivo del pubblico. Esponente autorevole dello storytelling contemporaneo, le sue Lectures sono richieste dalle principali università e accademie europee. Opera in ambito internazionale sia per top brand che per istituzioni culturali. Giuseppe di Brisco (1974), Laureando in Marketing Management, dopo quella in Economia Aziendale. Social media strategy, Marketing, comunicazione politica e istituzionale. Strambo, a volte faccio sul “serio”. Esplorativo sempre alla ricerca. Riflessivo. Unconventional thinking. La politica è passione. La mia preferita: Ama il tuo sogno seppur ti tormenta. Terra Madre la mia religione. Aspirante Manager.
  • 7. Pag.6 Ora vi racconto una storia: << Due bellissime donne, vivevano in una casetta su una collina al di sopra del villaggio. Un giorno decisero di accertarsi chi delle due fosse la più bella. Crearono quindi una gara che consisteva in una passeggiata nella via principale del villaggio. Da lì, dovevano riscontrare chi delle due fosse la più apprezzata, chi avesse più amici. La prima fu Verità. Si diresse nella via principale del villaggio, e mentre la percorreva, la gente si chiudeva nelle proprie case, serrava le finestre, e i pochi rimasti per strada le voltarono le spalle. Arrivata alla fine della via, si chiese come poter fare per esser più apprezzata. Decise allora di ripercorrere la via, ma completamente nuda, convinta che avrebbe attirato l’attenzione di tutti. E così fece. Ma in realtà la poca gente rimasta fuori si chiude a sua volta in casa, e le finestre vengono sbarrate! Tornata dall’amica, Verità riferisce che il paese era vuoto, e che tutti si erano chiusi nelle proprie abitazioni. La seconda bellissima donna, Storia, decide di provare comunque. Passeggiando per la via, la gente esce dalle proprie case, le corre in contro, grida, è in festa. Verità ammette di aver perso la gara, affermando che probabilmente “la storia è più potente!”. Storytelling la fabbrica delle storie CHRISTIAN SALMON
  • 8. Pag.7 I N T R O D U Z I O N E “Le nostre parole spesso sono prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie.” La manomissione delle parole, Bur. G. Carofiglio era una volta una bambina che tutti chiamavano… si, lo so, avete già capito Cappuccetto rosso. Perché questa storia la sappiamo tutti, in una versione o nell’altra, sia quella dei fratelli Grimm o quella di Charles Perrault. La fiaba di Perrault, del 1697, è più cruenta di quella dei fratelli Grimm, perché non prevede che arrivino né cacciatori né boscaioli a portare in salvo bimba e nonna. E contiene pure una morale esplicita: meglio non fidarsi degli sconosciuti, tantomeno di quelli all’apparenza più miti e servizievoli. Quale che sia il valore di una lettura freudiana delle fiabe, è però certo che rappresentano il nostro primo incontro con la narrazione. Di lì in poi, gli anni della nostra formazione sono tutto un ascoltare storie raccontate da altri o inventarle di sana pianta. Le storie, insomma, il tempo che passiamo dentro mondi immaginari, sono un pilastro fondamentale della nostra vita. (Editoriale n.115 di Mente&Cervello, 27 giugno 2014 di Marco Cattaneo) La storia che segue è la mia storia, una storia di ricerca sul mondo della comunicazione strategica d’impresa in particolare sullo studio della C’
  • 9. Pag.8 narrazione d’impresa: The corporate Storytelling. Questa storia, la mia, incontra tante altre storie di studenti, ricercatori, lavoratori, imprese piccole e grandi, designer, storyteller di professione, marketing manager, uomini di cultura, istituzioni, politici, territori e soprattutto persone. Le pagine che stringete tra le mani sono la sintesi di un lavoro, fatto con gli studi di marketing management presso l’Università degli Studi di Foggia, approfondito con un corso on-line della Ninja Academy in “Corporate storytelling – Strategie e strumenti per la narrazione dei brand” in compagnia con il Prof. Andrea Fontana e Massimo Lico, coordinato dalla Prof.ssa Enrica Iannuzzi (relatrice, docente di Comunicazione d’impresa) e con il grande contributo informativo e competenze di Felice Limosani, amico storico, noto visual e digital storyteller di fama internazionale (correlatore). Quando ho cominciato a pensare a questo studio, tra orari di lavoro e il proseguimento degli esami, non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte tante idee, tante personalità, tanti ostacoli. Proverò con questa mia introduzione, a dare un senso a tutto il lavoro. Come dicevo, è la mia storia, ma dietro ogni impresa , grande o piccola che sia, ci sono tante storie, che attendono di essere trovate, raccontate e condivise. Il racconto e la narrazione aziendali sono ormai processi insiti nelle pratiche quotidiane del marketing, della comunicazione, del Retail e della gestione delle risorse umane. Che tu sia piccolo o grande, on line o off-line, hai bisogno di raccontarti. In questo scenario è emersa la dimensione personale delle imprese e si è affermato il paradigma dell'impresa-persona (Barone, Fontana, 2005): l'ultima decade ha infatti visto emergere una corrente post-moderna di
  • 10. Pag.9 scrittori accademici che vede le organizzazioni non solo e non tanto sotto i tradizionali aspetti strutturali, orientati al processo e basati sul controllo ma anche e soprattutto come sistemi viventi e fluenti, nei quali poter "parlare, pensare, sognare, sentirsi esseri umani che lavorano, giocano, parlano, ridono e scherzano tra loro" (Denning, 2001: 176). Le organizzazioni sono infatti composte da individui, da insiemi di soggetti diversi e in costante interazione tra loro: per questo motivo esse raccontano una molteplicità di storie in cui si mescolano differenti linguaggi, vocabolari e registri narrativi. Questi necessitano di integrazione e coerenza, poiché solo così l'impresa potrà conseguire un significato comune e avrà un'identità riconoscibile all'interno e all'esterno (Fontana, 2005). Con l'emergere di una visione delle organizzazioni come costruzioni pluralistiche di storie multiple si afferma quindi anche una nuova concezione della narrazione, che viene oggi rivalutata e considerata una modalità efficace per una diversa ed innovativa comprensione, direzione e gestione delle imprese. Viviamo in una civiltà nuova, e ancora non ce ne rendiamo conto. Una civiltà dove, per la prima volta, ci sono elementi di sostanza e di senso in ambienti imprevedibili e per certi versi intangibili. Il pubblico ha cessato di essere spettatore: sempre più è parte integrante dei processi di un engagement atto alla conoscenza e alla condivisione. Ci siamo ritrovati catapultati in un nuovo mondo, semi sconosciuto, in cui non basta più informare, comunicare , coinvolgere, ma diventata necessario NARRARE. Ecco allora la svolta narrativa farsi largo. Ecco che aziende, organizzazioni, persino agenzie politiche e mediatiche iniziano nel nuovo millennio a usare
  • 11. Pag.10 tecniche di narrazione per “posizionarsi” e “vendersi” . Nulla, forse, è passato indenne attraverso la rivoluzione digitale. È cambiata la società, noi stessi ci siamo modificati, abbiamo cambiato pelle e mente, abbiamo acquisito nuovi schemi percettivi. In questa ottica, l’epicentro è la rivoluzione digitale ma il centro esiste dalla notte dei tempi: è l’essere umano! Gli strumenti veri dello storyteller sono il desiderio di comprendere, re-immaginare e creare su scala umana morfologie proprie e altrui (Felice Limosani). Scopo di questo lavoro è quindi lo studio dello storytelling e delle sue applicazioni all'interno delle organizzazioni. Così i brand iniziano a raccontare storie. I prodotti iniziano a essere storie. E il marketing diviene narrativo. Per la prima volta nel nostro Paese, si apre un nuovo territorio teorico e pratico, in cui diventa fondamentale sapere: perché una persona entra in sintonia con una narrazione e ne fruisce i contenuti facendoli suoi; quali sono gli elementi principali e non trascurabili per costruire una narrazione; quale è la fisica dell'ascolto narrativo. Ovvero come l'ascoltatore entra in sintonia da un punto di vista fisiologico con una narrazione e con i suoi elementi e come sia possibile misurarne in qualche modo la fisiologia. Cercherò di rispondere alle seguenti domande cos’è un racconto aziendale e come si costruisce? Quali sono gli strumenti più idonei su cui far vivere e far circolare racconti d’impresa? Dove sta il connubio tra comunicazione e racconto? Quando è un bene fare un percorso di corporate storytelling e quando sarebbe meglio evitare? L'argomento è analizzato sia da un punto di vista teorico che da una prospettiva pratico-operativa. In questo elaborato si è voluto quindi unire la teoria alla pratica dello storytelling, cercando sempre di mantenere un certo
  • 12. Pag.11 equilibrio tra questi due aspetti, nella convinzione che essi siano tra loro complementari. Queste in breve le linee guida che ci accompagneranno lungo questo percorso alla scoperta della narrazione d’impresa e del racconto che è insito in ciascuno di noi. La prima parte del lavoro si occuperà della comunicazione strategica d’impresa in ottica corporate, lo storytelling nella comunicazione d’impresa e dal fare comunicazione all’essere comunicazione. La seconda parte analizza dal punto di vista storico l’evoluzione della narrazione indagandola per il suo potere emozionale . Si tracciano le linee per definire lo storytelling, il contesto in cui opera, il perché occuparsi di storytelling e perché da un punto di vista psicologico le storie ci piacciono. Si parlerà della storylistening trance experience e del potere della narrazione e della contronarrazione. Quindi le storie e le strategie, perché è inutile negarcelo le storie non sono ingenue. La terza parte si concentra sulla struttura del processo di narrazione analizzando le trame più diffuse, i format più usati per costruire una strategia di comunicazione narratologica; in particolare analizzeremo lo schema canonico e il viaggio dell’eroe fino alla mappatura fatta da Booker con il suo libro: the seven basic plots. Ci occuperemo a seguire degli ambiti di applicazione dello storytelling, quali sono i canali delle storytelling operations e i suo strumenti (cartaceo, relazionale, digitale). Come si costruisce un piano di storytelling operation, i vantaggi e le maggiori criticità dello storytelling evidenziate da Salmon. La quarta parte è dedicata essenzialmente al potere delle immagini e come esse vengono usate nello storytelling dai i visual per catturare l’attenzione
  • 13. Pag.12 ed emozionare; le immagini e le storie, le musiche e i colori vengono digitalizzate e condivise attraverso la Rete attraverso strumenti transmediali. In particolare si parlerà del rapporto tra digital e social media, come si gestiscono le conversazioni e i tempi, fino ad arrivare all’implementazione di una brand story guardando anche i processi di gamification e advergame. La quinta parte descrive il lavoro del digital storyteller Felice Limosani, correlatore della mia tesi. Il racconto dell’artista si avvale di due Lectures: essere reali con la fantasia e lo storytelling contemporaneo. L’ultima parte della tesi è dedicata a quattro Case History.
  • 14. Pag.13 1. La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità. 1.1 Alcune riflessioni introduttive n questi anni di forte cambiamento delle logiche economiche e dei modelli di business si stanno modificando pure, radicalmente, i modelli e le forme di comunicazione d’impresa. Complessità, incertezza, ambiguità e cambiamento sono le parole chiave del contesto in cui le imprese si trovano oggi a competere: la caduta dei classici paradigmi organizzativi, la globalizzazione e l’aumento della competizione sui mercati hanno fortemente destabilizzato l’ambiente interno ed esterno in cui le imprese operano. In questo contesto fluido e metamorfico, le modalità di gestione e di comunicazione delle aziende si sono dovute modificare in maniera profonda per riuscire ad assecondare la necessità degli attori organizzativi di trovare un nuovo modo per capirsi, conoscersi e riconoscersi in questa mutevole condizione lavorativa; metamorfosi dovuta anche all’avvento delle nuove tecnologie, delle nuove piattaforme comunicative e dei social media che hanno determinato un contesto nel quale la pubblicità classica sta perdendo molta della sua tradizionale capacità di presa sul pubblico . Pur conservando una sua ragione d’essere (e rimanendo per la verità ancora prevalente in termini d’investimento), questa modalità di comunicazione intrinsecamente unidirezionale rappresenta il passato. Il futuro è fatto di altre cose-particolarmente di tutte le forme di relazione collaborativa, a due vie, tra imprese, marche e pubblico che le nuove tecnologie della comunicazione rendono oggi I “La comunicazione è sostanza; più sostanza della cosa comunicata.” C. Nigro
  • 15. Pag.14 possibile.1 In questo contesto emergono con sempre maggiore chiarezza forme di comunicazione innovative come lo storytelling, il branded content e il marketing non-convenzionale, tematiche che affronteremo in questo e in altri capitoli. Entrando nel vivo del discorso possiamo constatare che le organizzazioni dovranno adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione, alla trasformazione del mondo in una sorta di rete globale, creando delle culture convergenti e generando nuove modalità di relazione. Come ben sappiamo ogni individuo, azienda, ente o gruppo sociale comunica per il semplice fatto di esistere. Questo è uno dei principi fondamentali su cui si basano le teorie della comunicazione. Tuttavia la teoria generale dei sistemi (General System Theory) di Ludwig Von Bertalanffy (1968) definisce le organizzazioni come “ degli insiemi complessi di parti interdipendenti che interagiscono per adattarsi ad un ambiente in continuo cambiamento al fine di raggiungere i propri obiettivi”. Infatti Ludwig Von Bertalanffy definisce il processo di interazione tra le parti “organizzazione”2 . In tal senso l’organizzazione non è statica ma si comporta da agente dinamico presente nella società come soggetto in crescita continua. Come tale, essa è centro vitale di costrutti socio economici e porta con sé un frame di valori simbolici ( come ad esempio il logo di un brand) dall’elevato valore cognitivo, entro i cui confini si autodefinisce. E’ facile comprendere che le aziende comunicano sempre: esse si esprimono “non solo attraverso ciò che dicono intenzionalmente (ad 1 Paolo Bonsignore, Joseph Sassoon (2014) , Branded Content – La nuova frontiera della comunicazione d’impresa, Franco Angeli – collana diretta da Vanni Codeluppi, Milano. 2 Franco Fontana ,Il sistema organizzativo aziendale,1993- Franco Angeli Editore.
  • 16. Pag.15 esempio, le proprie campagne pubblicitarie), ma anche attraverso quello che mostrano (ad esempio il design dei prodotti, la forma degli edifici, la disposizione degli uffici) e quello che fanno (il comportamento dei loro membri)3 . Il punto su cui vogliamo soffermarci è il seguente: cosa comunica di norma un’impresa? In prima istanza possiamo dire che il contenuto dei suoi messaggi è teso ad affermare gli elementi finali della sua attività e a mettere in luce il loro valore, la loro efficacia, l’utilità e il rendimento. Si tratta del lavoro portato avanti dall’apparato pubblicitario, da intendersi non soltanto a livello referenziale ma anche valoriale: “il prodotto e il servizio si trasformano in discorsi, spesso “storie”,”racconti” che, per quanto ancorate alla concretezza dei loro presupposti di origine, se ne possono allontanare, avviando una produzione di senso sempre più libera, sempre meno materializzata, sempre più orientata in una prospettiva simbolica”. Ad un secondo livello troviamo il discorso di marca, quel valore aggiunto che si unisce al prodotto e lo rende unico nell’immaginario del consumatore. Infine il terzo livello di messaggi che l’impresa porta in auge è costituito dalla sua entità, il suo essere soggetto partecipe della vita sociale sotto forma di identità aziendale o corporate identity. Nelle pagine successive del nostro lavoro ci occuperemo di un importante passaggio che lega la comunicazione aziendale intesa come corporate communication in particolare con l’evoluzione del Marketing non convenzionale, la marca e il potere dei consumatori, questo ci permetterà di ospitare il grande tema 3 Gianfranco Bettetini, Semiotica della comunicazione d’impresa, Bompiani, 2003, Milano Pg.40,60,65
  • 17. Pag.16 della narrazione d’impresa: lo Storytelling come nuovo approccio alla comunicazione strategica. 1.2 Il ruolo strategico della comunicazione : le relazioni Le profonde modificazioni che hanno interessato la moderna economia d’impresa sottolineano la rilevanza che ha assunto la dimensione relazionale dell’attività imprenditoriale, con riferimento alle relazioni di business, alle relazioni di mercato, alle relazioni interne, a quelle sociali ed istituzionali. In questo contesto la comunicazione assume un ruolo fondamentale in quanto rappresenta il “collante” delle organizzazioni sociali, strumento fondamentale di coordinamento delle attività relazionali dell’impresa, attraverso il quale attivare i contatti, gestire i rapporti, creare e mantenere la fiducia, promuovere la co-evoluzione, esercitare strategie di influenza e di condizionamento.4 Lo stesso Prof. G. Calabrese5 in un paper, costrutti, miti e strategie nella comunicazione d’impresa, scrive: “la comunicazione è il collante sistemico per antonomasia, il Graal che finalmente cuce insieme strategia e struttura, lo strumento di salience management invocato dalle declinazioni normative della Stakeholder Theory (Savage et al., 1991; Clarkson, 1995; Mitchel et al., 1997; Polonsky e Scott, 2005), nonché la leva di implementazione operativa delle ricadute provenienti dal dibattito sulla Corporate Social Responsibility.” 4 Pastore A., Vernuccio M., Impresa e comunicazione principi e strumenti per il management ,Apogeo 2008 5 Mastroberardino P., Calabrese G., Cortese F. Costrutti, miti e strategie nella comunicazione d’impresa. Sinergie, rivista di studi e ricerche. Università degli studi di Foggia- Dip. Economia Aziendale.
  • 18. Pag.17 La comunicazione, dunque, genera e sostiene le relazioni, sviluppa fiducia e conoscenza, produce credibilità strategica e reddituale, contribuisce alla costruzione della consonanza (compatibilità strutturale) e alla sua evoluzione verso la risonanza( condivisione dei valori, obiettivi e strategie) tra soggetti interagenti; per tale via essa concorre alla diffusione e alla creazione di valore. Attraverso la comunicazione, l’impresa riesce a generare e trasmettere ai pubblici di riferimento: dal “saper fare” al “far sapere”. Thierry Libaert6 e Karine7 Johannes mettono a fuoco il concetto di relazione come fondamento a cui la comunicazione d’impresa deve puntare. Il “relazionarsi con”, è del resto, uno degli elementi del processo comunicativo. Relazionarsi significa secondo Libaert costruire un legame, mettere in comune degli interessi e degli obiettivi. “Entrare in relazione con dei pubblici consiste per un’impresa nell’oltrepassare il livello di transazione, l’atto di acquisto ed introdurre una continuità, uno spessore temporale”. Il compito dell’azienda in questo senso è coltivare tale legame attraverso le pratiche comunicative, sino a giungere ad una personalizzazione degli scambi e ad una conoscenza approfondita dei pubblici di riferimento. Secondo due autori esperti nell’analisi dei contesti relazionali in ambito aziendale, Ledingham e Bruning, la relazione si definisce in questi termini: “il rapporto esistente tra un’organizzazione e i suoi pubblici di riferimento, 6 Thierry Libaert è uno specialista francese leader in comunicazione organizzativa . E 'docente di comunicazione organizzativa presso l' Université catholique de Louvain ( Belgio ), dove presiede il Laboratorio per l'Analisi dei Sistemi Organizzativi di comunicazione (LASCO) 7 Karine Johannes, Ph.D. Strategic communications consultant, Independent, Université Lumière de Bujumbura.
  • 19. Pag.18 in cui le azioni di ogni soggetto hanno un impatto sul benessere economico, sociale, politico e/o culturale dell’altro”. Partendo dall’idea di relazione, Libaert e Johannes ritrovano nella corporate communication due radici comuni a tutte le teorie precedentemente vagliate: il marketing e le relazioni pubbliche. Dall’evoluzione di queste due discipline e con l’emergere intorno agli anni ’80 della concorrenza e della necessità di gestire i prodotti intangibili dell’impresa (i suoi valori, la sua mission, la sua vision e la sua cultura) si sono sviluppate progressivamente le teorie della corporate communication e i concetti ad essa correlati: corporate image, identity e reputation. Uno sviluppo relativo al passaggio da una logica di vendita ad una di costruzione dell’identità e della relazione con l’altro. In quest’ottica se il marketing si occupa principalmente di valorizzare i prodotti ed i servizi, le relazioni pubbliche si impegnano a generare un contratto di fiducia con i diversi pubblici e a comunicare la filosofia aziendale e i suoi valori. Il paradigma della corporate communication si inserisce secondo Libaert proprio in questo punto d’incontro tra i due poli sostenendo che entrambe le aree debbano essere gestite in modo unitario, affinché i prodotti da un lato siano compenetrati dalla filosofia aziendale e dall’altro mission e vision si concretizzino nell’operare dell’azienda: in prodotti, servizi, nelle modalità lavorative, nei rapporti con i clienti e i dipendenti. Nella nuova era della relazione risulta infatti evidente come l’interesse degli stakeholders vada al di là dei semplici prodotti e servizi e si porti più sul processo di produzione, sulle politiche di prezzo, sulla coscienza dell’azienda come soggetto attivo e responsabile nella società ( si veda il concetto di Corporate Social Responsability). La società si è resa conto
  • 20. Pag.19 oggi più che mai del livello di interdipendenza presente fra organismi pubblici e privati ed i singoli individui, per questo nuove sfide si propongono oggi alle imprese e negli anni a venire.8 La sfida più difficile sarà sicuramente quella della sincerità e dell’apertura alla relazione verso gli stakeholder, la comunicazione superlativa è destinata al fallimento: la vera comunicazione sarà quella capace di ritornare ai suoi valori essenziali. Questo è quanto sostiene Stéphane Billet, presidente dell’agenzia di comunicazione francese Hill & Knowlton e presidente del Syntec Conseil en Relations Publiques. A questa sfida per la corporate communication se ne aggiungono altre tre, secondo Marianne Kugler, docente del dipartimento di scienze dell’informazione e della comunicazione presso l’università di Laval: 1. La necessità di rimanere visibili e credibili mentre si moltiplicano le fonti d’informazione a causa dell’avvento dei nuovi media (blog, Twitter, Facebook), che fanno aumentare la circolazione delle notizie (vere e false) grazie alla modalità del passaparola (“I like” di Facebook ne è un esempio palese 2. Creare una cultura d’impresa, e instaurare all’interno e all’esterno un sentimento d’appartenenza mentre aumenta il cinismo dei dipendenti nei confronti delle promesse dei leader non mantenute; 3. Raggiungere i pubblici di riferimento in un momento in cui le persone sempre più disincantate preferiscono racchiudersi nella loro individualità e nel loro piccolo. (facebook ne è un esempio palese); 8 Cristina Fona- Brandforum.it
  • 21. Pag.20 1.3 La corporate communication : Il management I modelli di management della comunicazione aziendale proposti in letteratura sono stati sviluppati con riguardo soprattutto all’immagine e alla corporate identity .Tali modelli, non riguardano il processo di Corporate Communication Management (CCM) in quanto tale. Tale processo non si limita esclusivamente alla gestione della corporate identity ma si estende al contributo della comunicazione alle decisioni di strategia aziendale (Gregory et al., 2010; Invernizzi e Romenti, 2011a, 2011b) e alla gestione delle relazioni con gli stakeholder e della corporate reputation (Gray e Balmer, 1998; van Riel e Fombrun, 2007).9 Lo stesso Van Riel nel 1995 anno in cui venne pubblicata e tradotta l’opera “Principles of corporate communication” s’impegna nella teorizzazione del modello in questione fornendo alcune tra le più importanti nozioni su cui si fonda. Van Riel definisce la corporate communication come: “an instrument of management by means of which all consciously used forms of internal and external communication are harmonised as effectively and efficiently as possible, so as to create a favourable basis for relationship with groups upon which the company is dependent”. E’ bene sottolineare che il termine corporate non è utilizzato da Riel nel senso di corporation, ma in relazione al termine latino corpus, più vicino al corrispettivo inglese “body”, ovvero corpo o meglio “che inerisce alla totalità”. Infatti spiega Thierry Libaert “la corporate communication designa la comunicazione in cui l’impresa parla di sé stessa, della sua 9 AGOSTINO VOLLERO Assegnista di Ricerca - Università degli Studi di Salerno - sinergie, rivista di studi e ricerche – Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
  • 22. Pag.21 identità, della sua mission e dei suoi valori e si presenta come persona morale, al di là dei suoi prodotti e servizi” quindi si mostra nella sua totalità come soggetto facente parte della società. La sua vocazione principale in questo senso risiede nell’affermare la personalità propria all’impresa ed assegnargli una identità distinta e coerente favorendo le relazioni con gli stakeholder aziendali e gestendo al meglio la sua immagine e reputazione. Nel corso degli ultimi anni, a partire dagli studi di PR, si è condivisa la necessità di affrontare la comunicazione in base ad un approccio strategico stakeholder-oriented . A livello di management strategico, la letteratura ha evidenziato il ruolo rilevante e attivo del responsabile e dei consulenti di comunicazione ai fini del governo delle organizzazioni complesse (Invernizzi e Romenti, 2009). Alla comunicazione è stata, infatti, via via attribuita la capacità di orientare i principali processi decisionali aziendali, di supportare le decisioni di governo dell’organizzazione, al punto che si è coniata in letteratura l’espressione “comunicazione strategica”. Pur operando nell’ambito della funzione/dipartimento di comunicazione aziendale (Steyn, 2003; van Riel e Fombrun, 2007; Cornelissen, 2008), il responsabile (Chief Communication Officer) e/o i consulenti di comunicazione sono entrati a pieno titolo nella “coalizione dominante” chiamati a partecipare alle decisioni strategiche e a contribuire al successo delle imprese (van Riel, 1995; Grunig et al., 2002; Argenti et al., 2005; Goodman, 2006; Invernizzi e Romenti, 2009). Le principali attività di comunicazione strategica svolte dal responsabile e/o dai consulenti di corporate communication consistono nell’ascolto organizzato (Invernizzi, 2004, 2005; Cornelissen, 2008; Golinelli, 2011) e nella reflective communication (van Ruler e Verčič, 2005). In un’epoca
  • 23. Pag.22 caratterizzata dallo stakeholder management, la reflective communication consente di prendere in considerazione i problemi e le aspettative degli stakeholder e di individuare le modalità di adeguata interazione con gli stessi. La comunicazione aziendale riesce così ad essere strettamente legata alla gestione strategica dell’impresa e alle sue relazioni con gli stakeholder (Steyn, 2003). La concezione del ruolo strategico della comunicazione si contrappone alla visione tradizionale che vede la comunicazione come un’attività, o meglio una funzione organizzativa, sostanzialmente tattica (White e Dozier, 1992), che fa largo ricorso ai practitioner e alle technicality di cui questi sono dotati (Cornelissen, 2008).10 L’evoluzione della concezione della comunicazione ha suggerito la necessità del passaggio da un management della comunicazione di tipo tattico ad uno di tipo strategico (Holm, 2006). L’idea di integrare il marketing e le public relation nell’ambito di un unico strategic managing system di corporate communication (Varey, 1998; Varey e White, 2000) contribuisce al dibattito sul management strategico della comunicazione. In tale sistema, le attività di comunicazione sono costruite intorno a relazioni forti, durature e paritarie con i diversi stakeholder group. Tali relazioni si focalizzano sul coinvolgimento e sulla collaborazione degli stakeholder attraverso l’adozione di un interactive approach (Varey, 1998). La varietà derivante dalle esperienze dei diversi soggetti coinvolti e il dialogo con i diversi pubblici contribuiscono alla definizione delle priorità nel processo di comunicazione e sostengono il ruolo attivo del CCO (Chief Communication Officer). 10 Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno. Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
  • 24. Pag.23 Il processo di corporate communication management comporta varie fasi, alcune delle quali consistono nello svolgimento delle attività di comunicazione (strategica e operativa) e altre che comportano l’assunzione delle decisioni in materia di comunicazione (strategiche e operative) Figura 1 Il processo di corporate communication L’ingresso dello storytelling è voluto e forzato in questa figura, come nuova modalità di comunicazione rientrante nella Communication strategy.11 11 Figura 1 (storytelling) mia elaborazione.
  • 25. Pag.24 Il processo ha inizio a livello di management strategico (governo) con l’accennata attività di ascolto organizzato (environmental scanning), destinata alla conoscenza delle aspettative dei pubblici esterni e interni all’impresa e del loro giudizio circa la reputazione di quest’ultima. In un ambiente sempre più interconnesso e interattivo si rende necessario un approccio di tipo sense-adapt-in cui i communication director e i consultant sono in costante ascolto dei differenti stakeholder group e rispondono loro attraverso le forme ed i canali di comunicazione più appropriati. L’approccio sense-adapt-respond favorisce la diffusione delle abilità di comunicazione che valorizzano la comunicazione bidirezionale, il dialogo e la cooperazione con gli stakeholder. All’attività di ascolto segue l’attività strategico-riflettiva (reflective communication), con funzione di information support in quanto ha la finalità di trasferire ai membri della “coalizione dominante” le indicazioni sulle aspettative e sulle percezioni dei pubblici, per orientare la vision aziendale, per stimolare eventualmente la revisione del sistema dei valori guida condivisi dai membri dell’organizzazione a base della corporate culture, per consentire l’assunzione di strategie corporate e di business in linea con le attese dei resource-holder. L’attività di ascolto organizzato e l’attività riflettiva rappresentano le due fondamentali attività di comunicazione strategica, per il fatto di coinvolgere membri della coalizione dominante e di supportare le decisioni di quest’organismo di governance (v. Tab. 1) (v.Tab.2)
  • 26. Pag.25 TAB.1 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE COINVOLTI ATTIVITA’ STRATEGICHE DI COMUNICAZIONE Tutti i membri (soprattutto il CEO, il CCO, il CMO, i consulenti di comunicazione) Attività di ascolto organizzato (environmental scanning): - conoscenza del contesto, identificazione degli stakeholder group e dei pubblici influenti - comprensione e interpretazione delle aspettative dei pubblici, rilevazione della percezione e del giudizio dei pubblici in merito alla reputazione dell’organizzazione CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione Attività strategico-riflettiva (information support): - apporto di informazioni, nell’ambito della coalizione dominante, circa le aspettative dei pubblici influenti, per consentire opportuni cambiamenti e adeguamenti dell’organizzazione - contributo alla definizione dei valori guida (corporate culture), della vision e della strategia di corporate/business Tabella 1 : Principali attività di Comunicazione Strategica svolte dalla coalizione dominante la strategia di comunicazione trova attuazione attraverso le decisioni e le attività operative di comunicazione (v. tab. 2). È compito del management operativo sviluppare e gestire l’attività relazionale e di stimolo all’estroversione. Le prime sono destinate a creare e instaurare relazioni simmetriche e durevoli con gli stakeholder (Ledingham e Bruning, 2000; Grunig, 2001; Ledingham, 2003). Le seconde servono a stimolare la partecipazione attiva dei clienti e degli altri stakeholder, nell’ambito per lo più dei social media e delle brand community. Questo stimolo mira ad indurre la produzione di contenuti multimediali generati direttamente dagli utenti (user generated) (Nova24 Le Idee, 2011).12 12 Le tab.1,2 sono miei adattamenti prodotti dal paper del Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno. Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
  • 27. Pag.26 TAB.2 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE COINVOLTI ATTIVITA’ OPERATIVE DI COMUNICAZIONE  CEO, CCO, CHRO, consulenti di comunicazione  CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione  Tutti i membri  CCO, CMO, consulenti di comunicazione Attività relazionale: - diffusione dei valori guida, della mission e della vision (all’interno e all’esterno dell’organizzazione) - diffusione dei contenuti della strategia di corporate/business (all’interno dell’organizzazione) - sviluppo di relazioni simmetriche con gli stakeholder - attuazione di programmi di branding (ethical branding, employer branding, retail branding, brand extension, corporate trademark licensing, co-branding, ingredient branding, ecc.) CCO, CMO, consulenti di comunicazione Attività di stimolo all’estroversione: stimolare la partecipazione attiva dei clienti nei social media e nelle brand community, ai fini della produzione di contenuti user generated (contenuti multimediali generati dagli utenti) Tabella 2 : Principali attività di comunicazione strategica svolte dalla coalizione dominante Un punto in comune che manca alle tabelle (1,2) tra le principali attività di comunicazione operativa è lo Storytelling, argomento che inseriremo per completare e implementare il processo di comunicazione e di strategy dell’impresa. Prima di immergerci nel mondo dello storytelling e della narrazione d’impresa affronteremo nel prossimo paragrafo, a conclusione del capitolo, passaggi importanti per comprendere l’era della post- modernità, consumi, identità e brand, dall’immagine alla reputazione ( due componenti importantissime della Corporate communication), il marketing esperienziale: dalla co-creazione alla working consumers.
  • 28. Pag.27 1.4 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione. Le attività di consumo sono ormai un elemento centrale nella vita delle persone: passiamo più tempo a consumare che a lavorare. Il consumo è sempre meno una semplice attività volta a rispondere a necessità specifiche e sempre più caratterizzato da aspetti edonistici, dalla ricerca di piacere e di gratificazione. Consumiamo sempre meno da soli; il consumo è tipicamente un fatto sociale: momenti, valori, significati condivisi con altri, amici, familiari o persone che non conosciamo ma hanno, per esempio, una nostra stessa passione; si pensi ad un concerto di Ligabue, alle iniziative in memoria di De André, alle partite di calcio allo stadio. D’altro canto, anche una partita vista a casa su Sky da soli diventa poi un fatto da raccontare, discutere e condividere con gli altri, oltre che un’attività di consumo.13 Una volta per soddisfare le richieste dei consumatori più esigenti era sufficiente fabbricare buoni prodotti e migliorare la qualità dei servizi. Oggi questo non basta più. Si punta infatti all’esperienza globale, quella che riesce a coinvolgere non solo i sensi, ma anche il cuore e la mente. “L’economia- dice Felice Limosani – è di fatto nell’era della produzione di esperienze: si è partiti dalle materie prime e dalla produzione di beni e si è passati ai servizi come valore aggiunto. Ma oggi beni e servizi non bastano più, mentre l’orientamento a produrre emozioni origina scenari sempre nuovi”14 Il consumatore contemporaneo preferisce vivere immerso in esperienze di consumo anziché acquistare meri prodotti e servizi. Il consumo post- moderno si riassume così nell’immersione in esperienze costituite da 13 Carù A., Cova B., a cura di (2007), Consuming Experience, Routledge, London 14 http://www.felicelimosani.com/upload/7oO_141_7piZ.pdf
  • 29. Pag.28 incontri affascinanti, spettacolari, dalle mille sfaccettature. Il consumatore oggi viene percepito come un essere emozionale, in cerca di esperienze sensibili che lo facciano interagire con i prodotti e i servizi del sistema di consumo. Tutto ciò conduce gli esperti di marketing a stemperare la visione funzionalista e utilitaristica del consumo con una visione detta esperienziale, la quale mette in rilievo i valori edonistici e la soggettività dell’individuo. Tradizionalmente legata alla microeconomia e alla psicologia ( sia comportamentista sia cognitivista), la visione funzionalista del consumo si concentra sulla ricerca di informazioni e sul processo d’influenza del consumatore, al fine di ottimizzare le transazioni di individui considerati isolatamente. Nella prospettiva esperienziale, al contrario, il consumatore non cerca tanto di massimizzare un profitto, quanto di ottenere una gratificazione edonistica nell’ambito di un contesto sociale. Il consumo scatena infatti sensazioni ed emozioni che, lungi dal rispondere semplicemente a dei bisogni, vanno a toccare l’ambito della ricerca identitaria del consumatore. Non si tratta più, semplicemente, di “fare i propri acquisti”, ma di “vivere delle esperienze” e, più spesso, delle esperienze “integrate”, poiché queste fanno appello a tutti i sensi dell’individuo. Il nuovo consumatore si muove dunque dinamicamente e può avere diverse attitudini al consumo in relazione al diverso momento che sta vivendo e condividendo con altre persone, potremmo definirli “momenti di vita” in contrapposizione ai classici e ormai poco funzionali ”stili di vita”, tipici del marketing tradizionale.15 15 Cova B., Giordano A., Pallera M., terza ed. aggiornata 2012 ( a cura di) : Marketing non-convenzionale
  • 30. Pag.29 Il marketing esperienziale si collega alle esperienze vissute dal consumatore, le quali si generano quando egli si imbatte, subisce o vive alcuni avvenimenti. L’esperienza di consumo si definisce come il momento in cui si prova qualcosa di bello o di brutto, provocato intenzionalmente o meno, come qualcosa che arricchisce il pensiero e che è decisivo per la sua organizzazione. Queste esperienze, più che valori funzionali, possiedono valori sensoriali, emozionali, cognitivi, comportamentali e relazionali. Il consumatore non percepisce la situazione in termini di categorie strettamente definite, ma in termine di consumo nel suo insieme. Per una migliore comprensione delle tipologie di esperienza al consumo, si può utilizzare il quadro semiotico dei valori delle esperienze.16 Figura 2 Tipologia delle esperienze di consumo 16 Cova B.,Louyot – Gallicher M. C (2006) Innover en marketing, Lavoisier, Paris. PRATICA Utile Funzionale Pratico Tecnico UTOPICA Evasione Avventura Sogno Metamorfosi Trasgressione CRITICA Essenziale Sobrio Basico Economico Necessario Vantaggioso LUDICA Evasione Divertimento Scenografia Gadget Sorpresa Provocazione Humor
  • 31. Pag.30 L’oggetto dell’esperienza deve coniugare valori d’uso ( pratico e critico) e valori esistenziali ( utopico e ludico). In parole povere, il consumatore vuole tutto e il contrario di tutto: dall’oggetto dell’esperienza, e dal marchio che lo produce, si aspetta non solo la riproducibilità dell’esperienza e la diminuzione del rischio percepito, ma anche nuove sensazioni, emozioni ed esperienze. Il marchio (brand) sarà allo stesso tempo un dispositivo in grado di “industrializzare” le esperienze, ma anche un attore capace di dare prova di fantasia. Il marketing esperienziale si pone quindi il problema di come produrre, o co-produrre insieme al consumatore, queste esperienze di consumo considerato che come abbiamo più volte detto nel corso del capitolo il consumatore non è più un attore passivo che reagisce a determinati stimoli, ma piuttosto un attore attivo nonché il produttore delle proprie esperienze di consumo, le imprese tuttavia hanno cercato di agevolare la realizzazione di queste esperienze. 1.4.1 Le imprese verso la co-creazione In effetti, negli ultimi anni si è assistito a un crescente incremento da parte delle imprese nel coinvolgere il consumatore nella definizione dell’offerta. La co-creazione contempla un coinvolgimento del consumatore, il quale collabora attivamente e arbitrariamente alla cogenerazione dell’offerta e del valore in esso compreso. Ciò implica una illimitata libertà di azione alla creatività dei consumatori, i quali possono così arricchire l’offerta d’impresa con conoscenze e idee del tutto impreviste e imprevedibili. Alcune figure qui a seguito spiegheranno al meglio l’evoluzione verso la co-creazione (fig.3,4,5).
  • 32. Pag.31 Il Marketing tradizionale (Good- Dominant Logic, G-D Logic) risponde alla logica del value-in- exchange ( valore dello scambio) fig.3, il valore è impresso nei prodotti o servizi ed è completamente separato dal consumatore. Figura 3 La vecchia logica del Marketing (G-D-Logic) Tratto comune dei nuovi approcci di marketing è la tendenza ad andare verso il consumatore coinvolgendolo nei processi di creazione del valore. Questa impostazione ha fatto emergere una nuova logica del marketing, la
  • 33. Pag.32 S-D Logic (Service- Dominant Logic) 17 , una logica in cui i meccanismi di produzione del valore si liberano dal controllo esclusivo dell’offerta per collocarsi invece nell’interazione tra imprese e consumatori, un cambiamento di prospettiva che dall’idea di valore nello scambio (value-in- exchange), propria del marketing tradizionale, si sposta verso l’idea di valore nell’uso o nell’interazione ( value-in- use). Figura 4 La nuova logica del marketing (S-D Logic) La S-D Logic, risponde alla logica del value- in- use, il valore non è incorporato nell’offerta ma viene co-creato dalle imprese e dai consumatori, non è valutato su basi oggettive ma secondo la percezione del consumatore. L’elemento di novità apportato dalla S-D Logic consiste quindi nell’enfatizzare l’importanza delle conoscenze degli attori coinvolti nel processo d’interazione. L’incontro e la condivisione di queste risorse rappresenta il momento topico della co-creazione del valore. Nel marketing 17 Vargo S.L., Lush R.F. (2004), “Evolving to a New Dominant logic for Marketing”, Journal of marketing, 68(1) pp.90- 102 Conoscenze e competenze del consumatore. Value proposition. Conoscenze e competenze dell’impresa. Co- Creazione di Valore. (Value- in- use)
  • 34. Pag.33 tradizionale ciò che costituisce oggetto di scambio sono le operand resources (beni e servizi), nella nuova logica del marketing sono le operant resources( conoscenze, abilità, competenze) a essere impiegate e condivise da consumatori e imprese insieme per generare valore. Ciò induce le imprese ad assumere un diverso atteggiamento verso il mercato che dal modello “market to” della vecchia logica si sposta verso un modello “market with”. Un ripensamento, dunque, della visione kotleriana incardinata sui must pianificazione-gestione-controllo che prescrivono un atteggiamento unilaterale dell’impresa verso il mercato, e il debutto di un atteggiamento interazionale che chiama in causa i consumatori come partner nella generazione del valore. Tale percorso ha ridisegnato la funzione dell’impresa rispetto al mercato: nella service-logic, infatti, l’impresa si limita ad avanzare una value proposition (Vargo e Lusch,2004),una proposta di valore alla quale il consumatore partecipa e collabora attraverso la sua percezione personale. Anche se nella letteratura di marketing il tema della co-creazione è legato in maniera stringente alle due tipologie classiche del valore, e cioè al valore di scambio e il valore d’uso, oggi è possibile parlare di una nuova tipologia del valore legata soprattutto al consumo: il valore del legame.18 Fig.4 A differenza del valore di scambio e del valore d’uso che fanno riferimento principalmente al singolo individuo, il valore di legame emerge nel momento in cui nella società si ricopre il bisogno di appartenenza.19 In una società dal sapore tribale e comunitario, i beni e i servizi del sistema dei consumi non sono percepiti come valori primari, ma, piuttosto, sono 18 Cova B. (1997) “community and consuption”: towards a definition of the “linking Value” of product or services”, European journal of marketing, pp.297-316. 19 Maffessoli M.(2000a) L’istante eterno. Ritorno del tragico nel post-moderno, Sossella, Roma,2003.
  • 35. Pag.34 subalterni rispetto alla loro capacità di creare e di mantenere il legame sociale. Questo significa che le tribù, avendo bisogno di consolidare e affermare la loro unione , sono costantemente alla ricerca di tutto ciò che garantisca la riaffermazione continua di tale unione: un luogo, un emblema, dei rituali, dei riconoscimenti ecc. Figura 5 Il valore del legame Le sottoculture di consumo, le brand community e le tribù di consumatori sono l’espressione più limpida di come i raggruppamenti di consumatori intorno a uno specifico prodotto, una marca o un’attività di consumo in genere contribuiscano a caratterizzarne l’immagine che socialmente ne viene percepita. (v.fig.6) Sarebbe impossibile pensare alla Harley Davidson senza il contributo degli HOG, alla Lego senza il contributo degli AFOL, alla Nutella senza i nutellari… I consumatori, perseguendo i medesimi interessi di consumo, generano delle emozioni -ricordiamoci questa parola che ci tornerà utile quando Marca/Prodotto Valoredi legame.
  • 36. Pag.35 affronteremo nel prossimo capitolo la narrazione d’impresa e dei suoi prodotti nella logica dello storytelling – di solidarismo condiviso attraverso la creazione di mondi culturali frammentari, distintivi, autopoietici e a volte effimeri.20 In questa prospettiva, i consumatori rilavorano attivamente i significati simbolici codificati nei messaggi pubblicitari, nelle marche, nei punti vendita o, in generale, nei beni materiali per realizzare i loro personali obiettivi di identità e stili di vita, è la nascita del Prosumer. Figura 6 Cultura, impresa e consumatori. 20 Codeluppi V. (2005) Manuale di sociologia dei consumi, Carrocci, Roma. Consumatori occasionali.
  • 37. Pag.36 1.4.2 La working consumer. Ritornando a quanto abbiamo detto nei paragrafi precedenti, e cioè alla capacità dei consumatori di manipolare prodotti e servizi grazie al contributo delle nuove tecnologie di comunicazione, dedichiamo questo paragrafo al contributo che questi offrono a vari livelli nella determinazione dell’offerta. La collaborazione dei consumatori nella definizione dei prodotti e dei brand è stata di recente approfondita dalla ricerca21 . In particolare, il termine impiegato per indicare tale fenomeno è working consumer. I consumatori collaboratori prestano il loro savoir-faire relativo all’offerta secondo diverse pratiche e diverse situazioni di consumo. Nello specifico vengono individuate:  Consumption experience  Co-production in the service encounter  Consumer resistance  Service-Dominant Logic of marketing  Collaborative innovation  Consumer empowerment  Consumer agency  Consumer tribes. Questi contributi dimostrano come il tema della partecipazione del consumatore nella elaborazione dell’offerta d’impresa sia sempre più centrale nelle dinamiche di consumo attuali. Il consumer made è un tentativo di risposta alle più recenti mutazioni del consumatore. I cambiamenti in atto nelle cosiddette società “post-moderne”, insieme alle rivoluzioni tecnologiche cosiddette “post-industriali”( prime fra tutte 21 Cova B., Dalli D. (2009) “working consumer : the next step in marketing theory?, marketing theory, pp.315-39
  • 38. Pag.37 l’espansione di internet), fanno emergere consumatori sempre più capaci di resistere alle iniziative di marketing delle aziende e in possesso di una sempre maggiore competenza in merito ai prodotti e ai marchi che utilizzano. “L’intersezione dei vari approcci consente di identificare quattro tipi di strategie di collaborazione ( fig.7), che consentono di reagire alle sfide poste dal nuovo potere del consumatore: Figura 7 Tipologie di collaborazione consumer made  Co-innovazione : L’azienda coinvolge utilizzatori leader o comunità di utilizzatori nel processo di progettazione del nuovo prodotto o Co-Innovazione. Progettazione guidata dal consumatore Co-Produzione Esperienze prodotte dal consumatore Co-immaginazione Racconti dei consumatori Co-Promozione Concetti generati dal consumatore Controllo del Marketing (offerta e mix) Controllo del consumo (esperienza e uso)
  • 39. Pag.38 servizio. Questo coinvolgimento può andare da un semplice voto sul colore del futuro prodotto, come ha fatto Lenovo per il nuovo ThinkPad IBM, alla creazione di una piattaforma interattiva di progettazione del prodotto che consenta un vero e proprio design partecipativo.  Co-promozione: L’azienda coinvolge un gran numero di consumatori, generalmente attraverso un concorso, nella produzione di immagini e filmati per le sue campagne pubblicitarie. Il richiamo che si viene a creare costituisce già di per sé un’attività di comunicazione.  Co-produzione: In questo caso il consumatore non fornisce un contributo generico alla progettazione di un prodotto o di un marchio o alla definizione di una campagna, ma partecipa nella sua qualità di consumatore. A questo scopo, l’azienda sviluppa modalità che consentano al consumatore di personalizzare l’offerta di prodotto, in particolare tramite piattaforme di self-serving (in opposizione a semplici dispositivi di self-service). A questo aspetto funzionale si accompagna anche un aspetto simbolico: nel momento in cui non offre l’immagine del prodotto come USP (unique selling proposition, proposta unica di vendita), ma consente invece la libera associazione del prodotto a un significato fluttuante, l’azienda offre ai consumatori la possibilità di permeare la propria esperienza di consumo con qualsivoglia significato essi desiderino, come nel caso
  • 40. Pag.39 di Red Bull22 - “strategia di costruzione del mito” che vedremo nei prossimi capitoli quando parleremo di storytelling.  Co-immaginazione: L’azienda incoraggia lo sviluppo di tutto ciò che può sollecitare l’interazione quotidiana entro comunità di appassionati di un determinato marchio, prodotto o servizio. In senso ampio, ciò significa coinvolgere le storie delle persone : cosa sarebbe un marchio senza il racconto delle esperienze vissute dai suoi più convinti consumatori? A tal scopo, l’azienda sviluppa piattaforme comunitarie, che inducono gruppi di utilizzatori a mobilitarsi per produrre e riprodurre narrazioni. On line queste piattaforme si traducono in siti comunitari, che posso assumere forme diverse, come “my nutella the community” o come desmoblog (blog.ducati.com) oppure off line, quali per esempio i raduni di appassionati e altri rituali, cui ciascuno può prendere parte creando una propria storia e condividerla con quelle di altre persone. 1.4.3 Brand image brand reputation brand story. Per rispondere ai bisogni esistenziali del consumatore, la marca (brand) deve quindi diventare un elemento in grado di interpretare le sue esigenze e di proporre coerenti nuove esperienze di vita. Tale creazione di relazioni profonde e durature con l’individuo contemporaneo può avvenire solo se il brand crea mondi e personaggi mutevoli, ma sempre attuali, che gli 22 www.redbull.com/it/it/events
  • 41. Pag.40 permettano di mantenere un senso di credibilità e autorevolezza23 ; è importante che la marca abbia “una storia da raccontare, che possa per un tempo determinato sovrapporsi o confondersi con la storia dello spettatore”24 . Il brand, pertanto, deve rielaborare continuamente il proprio mondo vedendo il passato non solo come un serbatoio di ricordi, ma anche un terreno da riscoprire in termini di stimolazione, ispirazione e creatività. “I creativi leggono i sentimenti che la gente prova”25 Da sempre le marche hanno cercato di costruirsi un’immagine attraverso gli strumenti del marketing, dall’advertising alle PR. Possiamo considerare il concetto di brand image come la “marca che parla di sé”, che indossa un bel vestito per piacere alla gente. Una forma piacevole che spesso è servita a nascondere una sostanza non altrettanto splendente, come ci insegnano gli scandali finanziari in cui sono state coinvolte alcune aziende come Enron e Parmalat, oppure le campagne di boicottaggio che hanno colpito marchi come McDonald’s, Nestlé, Shell, per citarne alcune. 23 Gnasso S., (2012) consumi e identità o della supremazia narrativa ai tempi della crisi. Lupetti editore, milano. Storyline collana diretta da Andrea Fontana. 24 Morace F., Società felici, Scheiwiller, Milano 2004 25 Felice Limosani in “ ink and water – don’t mix – The future / www.felicelimosani.com
  • 42. Pag.41 “ L’immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni, passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza : la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza.”26 Al contrario dell’immagine, una buona reputazione è il risultato di un processo di creazione collettiva della percezione del brand. Andrea Semprini27 in una sua definizione di marca dice: “ Una marca è costituita dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità dei soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione”. Sono quindi “le persone che parlano della marca” a creare una buona o cattiva reputazione. Una reputazione dipende molto di più dalla sostanza dei comportamenti dell’azienda che dall’apparenza delle dichiarazioni di chi ne gestisce le attività di comunicazione. E se da un lato non risulta particolarmente difficile aumentare nel breve periodo la propria visibilità in termini di notorietà, la reputazione non può essere condizionata o manipolata facilmente: la fiducia delle persone, anche se può essere estorta nel breve periodo, non può essere acquistata con l’immagine. 26 Naomi Klein 2010, No Logo, Baldini&Castoldi –“ La Bibbia del Movimento antiglobalizzazione NYT” 27 Andrea Semprini è il maggior specialista italiano della marca. Dirige l'istituto di ricerca Arkema (www.arkema.com) e consiglia numerose grandi marche italiane e internazionali. Insegna all'Università IULM, nell'unica laurea specialistica italiana dedicata alle strategie di marca. Sullo stesso tema ha pubblicato Marche e mondi possibili (1993) e La marca (1997).
  • 43. Pag.42 Il concetto di brand reputation riconosce quindi il crescente potere di accesso alle informazioni delle persone e la situazione di aumentata “trasparenza” in cui si trovano le aziende al tempo di internet. Oggi un’informazione che un tempo poteva essere tenuta nascosta o comunque arginata localmente, si diffonde tra i nodi della rete a velocità supersonica. Non ci sono più segreti: il mercato on line conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, tutti, prima o poi, possono venire a saperlo. Tuttavia la reputazione, come abbiamo detto, si alimenta di comportamenti e non di dichiarazioni. Per questo è importante per l’azienda controllare costantemente l’applicazione di norme, principi etici, valori, diffondendone la cultura dell’organizzazione e vigilando affinché i comportamenti siano coerenti con i valori e con i principi dichiarati. La reputazione del brand non deve però essere intesa esclusivamente in termini etici e valoriali, ma dovrebbe essere anche valutata in termini di rilevanza economica, culturale, simbolica. Per esempio, Diesel si distingue come brand anche per il sostegno che offre a tematiche sociali, come lo sviluppo sostenibile e il surriscaldamento
  • 44. Pag.43 globale, ma soprattutto per la capacità che ha di essere estremamente cool e culturalmente attuale dal punto di vista della comunicazione e del design dei suoi prodotti. Più che alla semplice opinione positiva che le persone hanno sulla qualità dei prodotti o dei servizi delle aziende, la reputazione ha a che fare con la capacità di entusiasmare gli animi e di mobilitare le persone, in definitiva: quando aziende e prodotti sono in grado di creare veri e propri sostenitori del brand. Parliamo di brand advocancy: di come il brand è in grado di alimentare consenso ed entusiasmo verso la propria causa, sostegno al proprio” progetto di senso”, come direbbe Semprini. Entusiasmare gli animi, emozionare e raccontarsi oggi è sempre più frequente: le imprese si raccontano e raccontano i propri brand attraverso i propri clienti (brand story). In meno di 15 anni il marketing è passato prima da prodotto a logo, poi dal logo alla story; dal brand image a brand story.
  • 45. Pag.44 Chiudo questo paragrafo con un’emozionante video28 di brand story della British airways India che racconta la storia di una mamma indiana e di suo figlio espatriato che ha nostalgia della propria casa nativa. Una storia toccante dove il brand ( Voli British airways) è defilato rispetto alla storia e la storia tocca tutti noi. Video cliccato da 1,3 milioni di visitatori. Enjoy… 28 http://www.youtube.com/watch?v=WPcfJuk1t8s
  • 46. Pag.45 1.5 Un caso emblematico di Co-creazione: Il Mulino che vorrei29 Chiudiamo questo capitolo con l’esperienza italiana di co-creazione di maggior successo, Il mulino che vorrei. Nel marzo del 2009, Mulino Bianco, endorsement brand della Barilla, da sempre all’avanguardia nel campo del marketing e della comunicazione, ha deciso di inaugurare un nuovo corso nel modo di relazionarsi con i consumatori. Il Mulino che Vorrei è:  “un progetto che non parla, ascolta”;  “un progetto che non dice, fa”;  “un progetto che non insegna, impara”. L’idea è quella di creare una piattaforma, o meglio un ambiente in cui consumatori e impresa possano incontrarsi per discutere, condividere idee e creare contenuti: si tratta quindi di un progetto che vuole aprire a processi di co-generazione di contenuti lasciando cadere il tradizionale confine che separa le imprese dal pubblico dei consumatori. In questo caso si va oltre la classica implementazione della piattaforma relazionale, anzi, nel Mulino che Vorrei proprio i sistemi di relazione costituiscono uno dei fattori determinanti per la realizzazione del progetto, si pensi all’integrazione delle idee espresse dai gruppi su Facebook come nei casi del Pan di Stelle o del soldino. Tutto ciò rende il progetto un laboratorio di idee che va oltre la pura valenza strumentale della cassetta dei suggerimenti.( v. Fig.8) 29 http://www.nelmulinochevorrei.it/
  • 47. Pag.46 Figura 8 La piattaforma : il mulino che vorrei Il fatto che l’impresa sia coinvolta nella partecipazione rende il progetto delicatissimo proprio perché la spinge a cedere parte delle sue prerogative ai consumatori, con una perdita di controllo su alcune attività e alcuni processi. Tutto ciò va oltre gli schemi tradizionali a cui le imprese da sempre sono abituate. Il progetto si è articolato in due tempi. Una prima fase di lancio, in cui il Mulino Bianco si è presentata al pubblico spiegando i propri propositi ed esponendo le ragioni dell’iniziativa:  “Vogliamo raccogliere le vostre idee, analizzarle e, compatibilmente con la nostra missione, visione e valori, realizzarle insieme”.  “Non abbiamo pregiudizi, ci mettiamo in gioco: siamo pronti ad ascoltare qualsiasi proposta, anche non coerente oggi con il nostro lavoro”.
  • 48. Pag.47  “E chiediamo la vostra partecipazione: prenderemo in considerazione tutte le idee, ma vi chiediamo di indicarci, votandole, le idee che ritenete più interessanti”.  Saremo trasparenti e partecipativi: tutte le idee che valuteremo riceveranno una risposta pubblica di fattibilità o meno. Una seconda fase di carattere operativo in cui l’azienda, attraverso un percorso articolato in più step, ha passato al vaglio le proposte dei consumatori sulla base dei criteri specifici per poi pervenire alla selezione delle idee da realizzare concretamente. Prima fase: Valutazione. Seconda fase: Fattibilità e stima del potenziale. Terza fase: Realizzazione. Dopo la pubblicazione di ogni idea, Mulino Bianco interviene prendendo in carica le dieci più votate sottoponendole al processo di valutazione. Durante tutto il percorso i partecipanti continuano ad inviare le proprie idee e a votare quelle degli altri. Non appena una delle dieci idee inizia la fase di realizzazione o viene scartata, quella più votata in quel momento entra nel ciclo di valutazione. Per tutte quelle idee che non possono o non potranno diventare realtà, dopo averle valutate, Mulino Bianco s’impegna a dare una spiegazione esaustiva del perché della mancata realizzazione. Di seguito alcuni esempi delle idee in corso di valutazione e sviluppo. Le idee dei consumatori realizzate:
  • 49. Pag.48 Il Soldino! Allora, dato che i nostalgici reclamano il soldino a gran voce, che ne dite di fare un soldino con l’euro? A testimonianza del fatto che Mulino Bianco è una certezza che ci accompagna da quando eravamo piccoli a oggi che siamo genitori! Tutto passa…Mulino Bianco resta! Nuove confezioni Pan di stelle luminose Sarebbe bello fare in modo che le stelline delle confezioni merendine e biscotti Pan di Stelle potessero essere fosforescenti o in qualche modo luminose. Poterle vedere al buio credo sarebbe molto stimolante per i piccoli, che una volta finito il pacco di biscotti o merendine potrebbero ritagliarsi la carta e farsi il loro piccolo angolo di cielo stellato. Le idee in fase di realizzazione: Sosteniamo le Oasi WWF Vorrei proporre un nuovo formato di biscotto a forma di panda (utilizzando lo stesso impasto degli Abbracci) vendendoli con un sovrapprezzo di 10-15 centesimi a pacchetto. I soldi raccolti andranno a sostegno delle Oasi WWF Italia. Le idee in fase di valutazione: Un Mulino vero! Costruire un vero mulino che possa diventare un parco dei divertimenti: con giostre fatte con ingredienti giganti. Per esempio, farei gli autoscontri con tazzine giganti e montagne russe a forma di merendine.
  • 50. Pag.49 Il Mulino che Vorrei è un esempio molto significativo di co-creazione ( co-generazione) di valore. Non s tratta semplicemente di un nuovo modo di fare comunicazione impiegando le attuali tecnologie web, e nemmeno un progetto innovativo di marketing. In realtà il Mulino che Vorrei rappresenta un cambiamento di prospettiva dell’azienda, un cambiamento che passa per un sostanziale ripensamento del modo di intendere il mercato, i consumatori e il ruolo dell’impresa. Anzi, proprio i risultati ottenuti e i contributi offerti dai consumatori hanno fatto capire a Barilla che Mulino Bianco rappresenta qualcosa di più che una semplice fabbrica di biscotti. Se si guarda alle proposte avanzate dai consumatori, come il ritorno del Soldino o le nuove confezioni luminose di Pan di Stelle, ci si accorge che queste idee nascondono una carica di nostalgia e di sogno, chiaro segnale di come i prodotti e la marca Mulino Bianco siano strettamente intrecciati con la vita delle persone, con il loro passato e con le loro aspirazioni per il presente e il futuro. E’ proprio in questa nuova dimensione del consumo, e nella funzione che esercita nel vissuto quotidiano delle persone, che si colloca l’eccezionalità del progetto il Mulino che Vorrei, un progetto precursore di un nuovo modo di intendere il marketing e che contribuisce alla sua definizione in maniera propositiva e non più semplicemente facendo ricorso alla negazione del passato (non – convenzionale)
  • 51. Pag.50 2. S is for Storytelling La comunicazione nella logica narrativa. 2.1 Introduzione allo Storytelling. in dall’antichità il coinvolgimento di un pubblico passa attraverso la narrazione di storie: uno strumento universale e potente per facilitare la condivisione di messaggi tra individui ed organizzazioni. Le storie hanno sempre avuto un valore fondamentale nei rapporti umani, permettendo di diffondere la cultura, organizzare il mondo circostante, creare l'identità sociale di ognuno, stabilire delle connessioni emotive e soprattutto ricordare. Dal tempo dei faraoni dell’antico Egitto, con le storie degli scribi che li decantavano, alle saghe scandinave, dalle eziologie alle vite dei santi, fino ai giorni nostri con lo sviluppo del digital storytelling, il potere dell’immaginazione ha permesso all’uomo di inventare storie e trasmetterle agli altri attraverso diverse modalità di trasmissione, dalla semplice oralità, ai testi scritti, fino agli strumenti multimediali. Narrare infatti è un’attività molto antica adoperata dall’uomo per comunicare ai suoi simili la propria conoscenza e consapevolezza di eventi, cose e persone. S “Dimmi e dimenticherò, mostrami e forse ricorderò, coinvolgimi e comprenderò“. Confucio.
  • 52. Pag.51 Narrare vuol dire “far conoscere”. Lo suggerisce anche l’etimologia presente nel lessico latino, il verbo “narrare” deriva dalla radice indoeuropea gnâ (accorgersi, sapere), da cui deriva anche il verbo latino conoscere (cfr. Poggio 2004). Un narratore quindi, attraverso informazioni note solo a lui, può rendere partecipi della propria personale esperienza altre persone. La narrazione è uno degli strumenti più utili alla condivisione dell’ esperienza del singolo con una più ampia comunità. Mediante la narrazione si viene a costruire una parte rilevante di quel patrimonio di memorie e di esperienze che definiscono un’intera tradizione culturale (miti, leggende, racconti). In passato infatti la trasmissione delle conoscenze veniva esclusivamente per forma orale (la parola), dato che la scrittura non si era ancora sviluppata o era privilegio per poche persone, e quindi l’unico modo per preservare la cultura e la memoria storica della società era quello di ripetere costantemente i racconti in modo che divenissero delle tradizioni. Il mistero racchiuso in ogni “parola” è ancora oggi uno dei temi più dibattuti di tutta la storia dell’umanità. La sua capacità di incantare, trasformare, persuadere, terrorizzare la rende uno strumento molto potente, malleabile ma difficilmente controllabile. Un tema certo non nuovo, le cui origini possono essere rintracciate già a partire dalla cultura greco-romana, culla della retorica e della poetica, patria di grandi filosofi e dei primi grandi poemi, da Omero a Virgilio. Lo studio delle strutture e dei generi narrativi nasce da qui, per poi essere ripreso intorno agli anni 60-70 del 900 ( Narratologia: termine coniato dal
  • 53. Pag.52 filosofo Tzventan Todorov)30 ed esplodere nel nostro secolo dove la riflessione è andata spostandosi in nuove aree di pensiero: dal folclore all’antropologia, dalla comunicazione, alla psicologia, al marketing. Ci si potrebbe chiedere per quale motivo sia emerso questo rinnovato interesse nei confronti del racconto e come si sia sviluppato il pensiero nel corso degli anni a tal proposito. I perché possono essere molteplici ma derivano soprattutto da quanto abbiamo detto all’inizio: da sempre la parola risulta essere uno strumento che contraddistingue l’uomo, e che lo identifica come tale rispetto al mondo animale, pertanto avere una padronanza dello strumento non solo è importante oggi ma è un elemento strategico capace di creare a vari livelli (aziendale, individuale, politico, sociale) un vero e proprio vantaggio competitivo. Questo è ancora più vero se pensiamo alla situazione attuale caratterizzata da un overload informativo, un’overdose cognitiva che ha invaso tutti i campi, grazie soprattutto all’evoluzione della tecnologia, madre dei social network, dei blog e delle recenti applicazioni fruibili con semplici apparecchi mobili. Potremmo aggiungere : “Attraverso la narrazione, intesa come contesto privilegiato di rielaborazione di dati e informazioni, è possibile attivare veri e propri processi di costruzione di nuova conoscenza e apprendimento. Ciò attiverebbe la capacità di mettere in relazione gli stati interiori con la realtà esterna, di ricollegare il passato con il presente in un’ottica di proiezione nel futuro e, infine, di rendere possibile la 30 Tzvetan Todorov ( bulgaro : Цветан Тодоров ) (nato il 1 marzo 1939) franco- bulgaro è uno storico , filosofo , critico letterario , sociologo e saggista. E 'autore di numerosi libri e saggi, con una influenza notevole in antropologia , sociologia , semiotica , teoria della letteratura nel pensiero della storia e teoria della cultura .
  • 54. Pag.53 percezione degli individui come soggettività dotate di scopi, valori e legami. ”31 . La narrazione, o storytelling, è considerata uno dei meccanismi più interessanti non solo come strumento di rielaborazione cognitiva dei contenuti, valori, pratiche culturali, ma anche come dispositivo per socializzare la conoscenza, condividerla e rielaborarla collettivamente. Attraverso racconti, piccoli miti e “storielle”, infatti, sia nelle piccole imprese sia nella grandi organizzazioni, circola gran parte dei saperi, formali ed informali, delle istituzioni (Salmon, 2007). Essa è da tempo oggetto sconfinato di studi da parte di diverse discipline: ha svolto un ruolo centrale nella riflessione filosofico - semiologica (Barthes, 1973; Greimas, 1983; Eco, 1979); gli psicologi ne hanno indagato le potenzialità come strumento cognitivo e mnemonico (Bruner, 1986);in ambito più specificamente sociologico è stato esplorato il ruolo delle storie nel collocare socialmente i frame dell’esperienza individuale (Bateson, 1979); altre scuole si sono soffermate nello specifico sulle storie mediali, evidenziando il ruolo della fiction televisiva nel raccontare, ma soprattutto nel modellare, la realtà (Gerbner, 1985). Viviamo in una dimensione narrativa. Dall’automobile alla camera da letto, dai cellulari ai reality televisivi, la nostra vita quotidiana è costantemente avvolta da una rete narrativa che filtra le nostre percezioni, stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, eccita i nostri sensi, determinando risposte multisensoriali. La narrazione è stata indagata per il suo potere emozionale, utile a costruire una rete di valori, sottostanti ai fatti, che progressivamente alimentano l’ossatura identitaria ed emozionale dell’individuo, riuscendo a veicolare 31 C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009 cit. p.25
  • 55. Pag.54 un insieme di credo e valori professionali, politici e identitari spesso più forti di quelli basati sulla razionalità (Salmon, 2007). Narrare con emozione sta a significare che raccontiamo esperienze soggettive con elevata intensità, di breve durata, caratterizzata da un basso controllo sul comportamento e da immediatezza. Le emozioni determinano modificazioni nella fisiologia (cardiaco o del ritmo come ad esempio aumento del battito cardiaco o del ritmo respiratorio). Lo storytelling è ormai pervasivo della vita umana, sia la nostra vita personale che : quella di lavoro, perché la nostra realtà ha una struttura discorsiva. Ma lo storytelling non è un semplice raccontare storie. E’ molto di più. E ‘una disciplina e un metodo di lavoro.32 Siamo in un periodo di assedio testuale all’interno di un’economia del simbolico: ogni sette anni l’insieme delle nostre conoscenze viene travolto. Ogni diciotto mesi il potere elaborativo delle nostre “macchine” raddoppia. Tutti i giorni, ogni nostro gesto di consumo (culturale, fisico, emotivo) dipende da trame di desiderio non razionali che sono una sintesi decisionale multisensoriale, che deriva dalla nostra memoria autobiografica, la quale è di natura narrativa e funziona come una fiction su “format discorsivi” . Non è forse vero che l’incitazione al consumo contemporaneo passa 32 Andrea Fontana Co-Founder Storyfactory e docente di "Storytelling e Narrazione d'Impresa" Università di Pavia Esperto di strategia aziendale, comunicazione d’impresa (aziendale e politica) e people engagement, con i suoi testi e le sue ricerche ha aperto in Italia il filone di riflessione e applicazione operativa sul “Corporate Storytelling”. Dal 2005 infatti insegna “Storytelling e Narrazione d’Impresa” all’Università di Pavia e dal 2001 “Metodologia della formazione” all`Università degli Studi di Milano-Bicocca. Direttore della collana editoriale Storyline, collana dedicata alle scienze della narrazione, che ha fondato e lanciato insieme all’editore Lupetti. E’ presidente dell’Osservatorio Italiano di Corporate Storytelling presso l’Università degli Studi di Pavia, e autore di numerosi testi di cultura manageriale. Ha scritto il primo manuale italiano sul corporate storytelling – Manuale di Storytelling, edito da Etas-Rizzoli, con cui ha pubblicato anche Story-selling e Storytelling Kit.99 esercizi per il pronto intervento narrativo.
  • 56. Pag.55 dall’espressione di sé, che in fondo è un’incitazione (un po’ coattiva) a raccontarsi? Come sottolineato da un profondo conoscitore di queste dinamiche, ormai essere se stessi non basta più. Bisogna diventare la propria storia.33 Abbiamo precedentemente detto che lo storytelling è molto di più del semplice raccontare storie. E’ un approccio comune a molte scienze: dalla sociologia all’economia, dalla giurisprudenza alle scienze politiche, lo storytelling diviene anche una disciplina manageriale e organizzativa, che - in questo “accerchiamento narrativo” – diventa strumento indispensabile con cui essere ascoltati34 . Un mezzo per sedurre e convincere, influenzare i pubblici di riferimento (elettori e clienti), espandere le conoscenze, condividere esperienze e prassi di lavoro. Formare identità istituzionali e personali. Riformulare decisioni politiche ed economiche. Gestire controllo e potere. Un dispositivo esistenziale e socio-professionale per costruire e governare il proprio mindset di riferimento. Esiste quindi un connubio profondo tra narrazione, business, organizzazione e potere? Nei prossimi paragrafi cercherò di arrivare ad una risposta. L’escalation nell’interesse per la narrazione è evidente in tanti ambiti della nostra società. Questo interesse e questa diffusione sono naturali. In una società complessa, conoscitiva, a poteri multipli, la narrazione è un sofisticato mezzo retorico di presidio e scambio del potere, un modo per gestire la percezione dei pubblici che all’interno di società conoscitive sono sempre più sofisticati ma anche sempre più assuefatti. Come abbiamo precedentemente detto lo studio della narrazione 33 Salmon C.(2008) storytelling. La fabbrica delle storie, trad. it. Fazi, Roma. 34 C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009
  • 57. Pag.56 trova applicazione in vari ambiti anche lontani dalla loro origine iniziale. Uno di questi ambiti si chiama impresa. Adesso, dopo questo excursus concettuale, è venuto il momento di occuparci più da vicino delle organizzazioni e dei tecno-sistemi che per conservarsi, svilupparsi, innovarsi e competere, devono ormai vivere narrativamente. 2.2 Il contesto Ho voluto affidare la descrizione del contesto in cui operiamo alle parole di Frank Rose35 partendo da questa domanda: C'è un sottile filo conduttore che lega Omero a Batman? Forse sì, forse no. 36 Il bello è che non ha la minima importanza. Il fattore comune tra i cantori del passato e registi di oggi come Cristopher Nolan (l'autore dell'ultima trilogia del Cavaliere Oscuro) è proprio l'arte di raccontare storie. Che si tratti di una città sotto assedio da parte degli Achei o di una pericolosa 35 Antropologo digitale (come si definisce lui stesso sul suo sito), è uno scrittore e giornalista che si occupa di new media e del loro impatto sulla società. Ha pubblicato su «Wired», «Fortune», «The New York Times Magazine», e «Rolling Stone». - Frank Rose esplora i confini dello storytelling digitale anche nel suo blog Deep Media: una vera miniera da cui attingere ispirazione per immaginare il futuro dei film, della TV e anche del giornalismo. Omero raccontava le gesta di Troia, Christopher Nolan quelle di Gotham City: sebbene li separino millenni nelle loro storie c'è sempre spazio per la fantasia. Il suo ultimo libro: "Immersi nelle storie" di Frank Rose – Codice Edizioni, 2013. 36 http://www.festivalscienzalive.it/site/home/conferenze/articolo3010689.html
  • 58. Pag.57 banda di criminali, il racconto delle gesta di eroi e antieroi passa sempre attraverso meccanismi di coinvolgimento del pubblico. Ma le storie cambiano, così come il modo di raccontarle: con il passare dei secoli la recitazione in pubblico dei poemi epici è stata sostituita dalla lettura solitaria dei libri. Al teatro si sono affiancati il cinema e la televisione. Negli ultimi venti anni è arrivata Internet. Prima in sordina, poi esplodendo attraverso il Web. Le cose sono cambiate radicalmente, e il pubblico si è trasformato da semplice ascoltatore ad attore in grado di dialogare con i propri eroi. È qui che fa la sua comparsa Frank Rose, antropologo digitale e giornalista che si occupa di new media. Nel suo libro “Immersi nelle storie” ha raccolto le nuove frontiere della narrazione, dai videogiochi fino alle serie televisive come Lost e Mad Men. Ha cercato di immaginare cosa succede quando gli spettatori si appropriano di pezzi di trama e cominciano a raccontarli a modo loro. Anche l'industria dell'intrattenimento si è accorta del cambiamento di paradigma – da ascoltatori passivi a utenti attivi – e ha iniziato a sperimentare nuove storie sempre più interattive. Il panorama del racconto multimediale ha assunto i colori più vari, dalle web series diffuse su Youtube fino allo storytelling condiviso narrato da centinaia di persone diverse. La storia non finisce qui, vedremo il tutto nel quarto capitolo di questa tesi sul digital storytelling d’impresa.
  • 59. Pag.58 2.3 Perché occuparsi di storytelling. Prima di parlare delle tecniche del racconto dobbiamo affrontare una questione di fondo: perché le storie funzionano? Come mai la narrazione è così potente? La contro-narrazione. Cos’è l’ascolto e la sua memorabilità? Sono state scritte tonnellate di pagine su questo tema. La domanda, però, è meno banale di quanto potrebbe sembrare. Tutta la questione delle tecniche del racconto parte da qui: come suscitare ascolto per la memorabilità. Quante volte guardando un film o leggendo un romanzo, ci siamo sentiti rapiti dalla storia? Questa particolare esperienza di ascolto prende un nome specifico. Si chiama storylistening trance experience. “Quando una persona racconta una storia e l’altra ascolta attivamente, i loro cervelli iniziano immediatamente a sincronizzarsi”. 37 Figura 9 Storylistening trance experience 37 Stephens, Silbert, Hasson, 2011 – Osservatorio di corporate storytelling
  • 60. Pag.59 2.3.1 Cos è la storylistening trance experience? La trance narrativa da ascolto è infatti la conseguenza diretta di ogni efficace operazione narrativa. Indipendentemente dall’intenzionalità che sta dietro il racconto, quando ascoltiamo, vediamo o recepiamo una storia cadiamo naturalmente in questo stato di coscienza alterato rispetto alla norma, che porta a identificarci completamente con l’oggetto della narrazione e con chi sta raccontando (storyteller), inducendoci a sospendere la nostra incredulità. E’ un meccanismo interessante.38 Come soggetti razionali siamo sempre critici, ma come soggetti psicologici siamo portati ad annullare la nostra capacità critica e ad auto ingannarci.39 La narrazione e lo storytelling sfruttano – senza necessariamente un’intenzionalità perversa – questa propensione al credere e all’autoinganno volontario, consapevolmente attuato, perché partecipato, nella costruzione di un “testo”. Psicologicamente, abbiamo bisogno di credere a questa esigenza che richiede una struttura narrativa di risposta. Per questo, se dobbiamo raccontare qualcosa dobbiamo partire da tale bisogno fisiologico. La trance d’ascolto è tutt’altro che una sensazione immediata. Esistono alcune tappe che in un lasso temporale variabile ci fanno “perdere” in una narrazione, indipendentemente che questa sia rappresentata da un libro, un film, un comizio elettorale, un seminario accademico, un pettegolezzo tra amici, un discorso commerciale, lo spot di un grande brand, e così via. 38 Fontana A., Storyselling – strategie del racconto per vendere sé stessi, i propri prodotti, la propria azienda,(2010) Rizzoli, Etas, Milano. 39 Goleman D., Menzogna, autoinganno, illusione, trad.it Rizzoli, Milano,1998
  • 61. Pag.60 Queste tappe da conoscere se si vuole costruire un set di racconti influenzanti, possono essere così suddivise (in figura). Le tappe di una storylistening trance experience40 pur seguendo una linearità, dipendono anche dalla narrazione che abbiamo di fronte, dalle sue caratteristiche e dai media communication scelti per raccontarsi. Certo che se vogliamo raccontare noi stessi, le nostre aziende o i nostri prodotti, l’arco di esperienza della trance narrativa ci consegna alcune domande importanti in ogni fase ( in corsivo): Figura 10 Le tappe di una storylistening trance experience  Contatto : è il momento in cui entriamo fisicamente in contatto con la narrazione attraverso i cinque sensi. Possiamo vedere, ascoltare, gustare un oggetto narrativo;  D: in quale scenario narrativo fisico è immerso il mio interlocutore? (cosa ascolta, sente, mangia, gusta, percepisce e così via);  Familiarità: è il momento in cui prendiamo confidenza con l’oggetto narrativo, e così facendo iniziamo ad avere fiducia in esso; 40 Sturm B., “ The storylistening trance experience”, in journal of American Folklore,2000.
  • 62. Pag.61  D:Quali sono i grandi temi esistenziali con cui posso entrare in confidenza con il mio pubblico?(E’ interessato all’amore, al potere, alla famiglia, al risparmio e così via);  Immersione: è il momento in cui “entriamo” completamente nell’oggetto narrativo. Immergendoci in esso, ci perdiamo e la narrazione prende vita.  D: come possiamo catturare le nostre audience? (in quale cultura sono immerse e per cosa si emozionano?);  Identificazione: una volta che la narrazione prende vita e noi “siamo dentro”, ci identifichiamo completamente con gli elementi del racconto. Questi diventano parti integranti delle nostre autobiografie e si “innestano” nelle nostre memorie fisiche, emotive e cognitive;  D: in quale momento biografico si trova il mio interlocutore e quali problematiche di vita sta vivendo? (In modo tale da poter innestare la mia proposta nel suo arco esistenziale);  Emersione: a un certo punto la narrazione giunge al termine, il libro finisce, il film termina, il comizio si chiude, e piano piano emergiamo dalla narrazione tornando al “mondo reale” e uscendo da quello stato piacevole di perdita di noi stessi che aveva caratterizzato le fasi precedenti;  D:torniamo alla dimensione fisica e chiediamoci quindi: cosa vivrà l’interlocutore nel momento in cui uscirà dal mio mondo narrativo?(dove si trova, cosa vedrà e ascolterà, come potrò ulteriormente influenzare la sua esperienza spazio-temporale: nel cinema, a scuola, alla stazione, nel punto vendita, e via dicendo);  Distanziazione: il tempo passa, la narrazione è terminata e ne prendiamo le distanze, ce ne dimentichiamo, ma pur essendoci
  • 63. Pag.62 distaccati qualcosa rimane dentro e lavora. Ricordi di ogni tipo ci seguono: profumi, personaggi, immagini, testi, contesti, figure, frasi…  D: quali azioni posso fare per ri-attivare le memorie narrative del mio interlocutore, su quali canali e con quali strumenti? (quali action sequel progettare e attuare);  Trasformazione (relativa): a distanza di tempo, la narrazione ha messo in moto alcune dinamiche psicologiche profonde (assolutamente soggettive) che portano a piccoli o a grandi cambiamenti interni. Una nuova idea che si insinua dentro di noi, un nuovo modo di vedere le cose che mi porto sul lavoro, un nuovo comportamento che decido di adottare. O anche semplicemente un nuovo stato d’animo che mi porto a casa, che magari dura pochi minuti ma che è stato comunque sintomo di una mia, pur breve, trasformazione.  D: come rinforzare l’esperienza del microcambiamento interiore del mio interlocutore? ( quale Customer user experience positiva ha il soggetto dei miei prodotti, di me stesso, della mia azienda e come rinforzare questo tipo di esperienza/percezione) Questo arco di esperienza si ha quando la storia che ci viene narrata ci appassiona. E una storia ci appassiona se ha determinate caratteristiche: realismo, sense of wonder, emozione autobiografica e, soprattutto, resa del sé, cioè quel processo attraverso cui sospendiamo la nostra incredulità, ci arrendiamo alla storia e ci identifichiamo con l’oggetto del racconto.
  • 64. Pag.63 2.3.2 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista psicologico. Studi neuro-scentifici dimostrano che il nostro cervello è più incline a ricordare storie piuttosto che fatti o dati e che, quindi, le informazioni con cui si è entrati in contatto durante la giornata, vengono facilmente dimenticate se non sono parte di una narrazione. Perché? La nostra mente ragiona narrativamente. Ciò che ci circonda viene interpretato a livello di narrazione, le esperienze e le situazioni in cui ci troviamo sono tutte storie in cui i vari elementi si ricollegano (in maniera più o meno logica). La nostra identità sociale è definita dalle storie che ci caratterizzano. Ci poniamo nel mondo come un "carattere", che si definisce in base alle nostre esperienze, relazioni ed atteggiamenti. Le connessioni con gli altri si basano su storie ed esperienze vissute insieme. Ci confrontiamo con la società in base alle storie che si creano all'interno del nucleo di cui facciamo parte, la profondità dei rapporti che abbiamo con gli altri è definita soprattutto dal modo in cui le loro storie si collegano alla nostra. Rappresentano il perfetto incontro tra logica e creatività. Le storie ci permettono di dare un senso logico ai fatti, ma anche di interpretarli, di legarli alle emozioni. In questo senso, la narrazione rappresenta uno stretto collegamento tra i due emisferi del nostro cervello, tra la ragione e l'emozione.
  • 65. Pag.64 Creano ordine, organizzando gli eventi in strutture logiche. Ci permettono di capire gli eventi che accadono, di trovare spiegazioni, costanti, errori e di sapere come comportarci in situazioni tra loro simili. Questo principio sta alla base del senso di "conforto" che deriva dal trovarsi in una situazione riconosciuta come familiare. Creano connessione. Ci permettono di legarci emotivamente a persone o avvenimenti molto lontani sia a livello fisico che culturale, creano empatia con il personaggio, permettendoci di emozionarci con lui, soffrire, gioire, piangere. 2.3.3 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista pubblicitario. Il valore della narrazione nel marketing sta nel poter sfruttare tutti questi elementi a vantaggio del messaggio da trasmettere. Le storie non solo si imprimono molto facilmente nella nostra mente, ma suscitano anche delle emozioni, creando un legame tra chi le ascolta e chi le racconta (nel nostro caso, il brand). Quindi, reinterpretando i punti precedenti in un contesto pubblicitario, le storie: • Riproducono strutture di pensiero a noi familiari • Definiscono "l'identità sociale" del brand • Inseriscono il brand all'interno di un sistema di valori, umanizzandolo
  • 66. Pag.65 • Permettono di interpretare il suo senso logico a livello emotivo • Restituiscono una sensazione di conforto riproducendo strutture narrative familiari • Ci legano emotivamente al personaggio della storia, e quindi al brand cui è collegato Risonanze magnetiche funzionali hanno mostrato che quando si tratta di valutare un brand, il consumatore si basa sulle emozioni (sentimenti ed esperienze personali) che associa alla marca piuttosto che sulle informazioni (attributi del brand, statistiche, etc.) che ha a sua disposizione. Inoltre, ricerche di mercato hanno dimostrato che la risposta emotiva ad una pubblicità influenza l'acquisto molto più del suo stesso contenuto. Ecco quindi come emerge la necessità per il brand di suscitare delle emozioni nel consumatore creando un legame con lui. Quale modo migliore di farlo se non con le storie? Un messaggio esposto sottoforma di narrazione rende il suo significato immediatamente percepibile, facilmente ricordabile ed altamente emozionale, superando le barriere geografiche, linguistiche e culturali.
  • 67. Pag.66 2.4 Il potere della narrazione e della contro- narrazione. Quando decisi di studiare per questa tesi che avete nelle mani l’ho pensata come un approccio teorico e pratico in modo da ottenere uno strumento utile al fine di comprendere con esempi l’utilità dello storytelling. Di seguito saranno descritti due esempi : il potere della narrazione e della contro narrazione. Case History: Ferrero- Brand Nutella Non ci sono solo narrazioni, quello che sta accadendo oggi e che angoscia le aziende e le organizzazioni corporate, ma fondamentalmente tutti noi, è il fatto che esistono contro-narrazioni. Io non soltanto posso raccontare qualcosa incrementandone il valore (economico, sociale ,ideale) a seconda che questo qualcosa sia un brand, un prodotto, un territorio, una persona ecc. ma posso anche contro-narrare (in positivo o negativo) e questo è un altro motivo del perché stiamo parlando di storytelling. Qui di seguito c’è un frame di un video che ci servirà a capire il potere delle narrazioni e delle contro-narrazioni. Il video racconta Nutella come un prodotto salutare: Claudio Silvestri cuoco della Nazionale di calcio “al mattino non ho dubbi: frutta, latte, pane e nutella…”
  • 68. Pag.67 41 2011: Il potere della contro-narrazione. “ a me piac a Nutella”42 2014 Nutella si racconta nuovamente.43 41 Spot Tv Nutella Nazionale Italiana http://www.youtube.com/watch?v=wIN18YTlsXY 42 A' Mè Me Piac A' Nutell - Piccolo Lucio http://youtu.be/7WMaDyA8F0A 43 Nutella - 50 anni di Emozioni insieme http://www.youtube.com/watch?v=XiCgeBX8QfY Nutella narrata da nutella, lo spot mette in evidenzia l’aspetto salutistico del prodotto: al mattino non ho dubbi: frutta, latte, pane e nutella…” Il piccolo Lucio Vario un ragazzino napoletano, paffutello, lancia un video molto trash che diventa un cult con milioni di view ( ad oggi sono 10.581.534) contro l’allora poche migliaia di like del video original spot Nutella. Il potere della contro-narrazione della Nutella fatta da questo video è una derubricazione del raccordo primordiale del prodotto. Lucio Vario riporta il prodotto ad un abuso quasi smisurato della Nutella, sicuramente non salutistico. Cosa accade oggi(una cronistoria). Dopo circa tre anni nutella brand Ferrero cerca di raccontarsi in maniera diversa dopo l’episodio di contro- narrazione del proprio prodotto. Questo dimostra come il racconto di un prodotto è in mano a tutti e non solo ai brand. I brand sono costretti a reagire ai racconti fatti dai consumatori.
  • 69. Pag.68 2.5 Il potere dello storytelling: un’infografica
  • 71. Pag.70 2.6 Le storie sono strategie Per poter generare un ascolto memorabile bisogna conoscere molto bene le tecniche del racconto. I termini storia, discorso e narrazione, sono spesso usati come sinonimi; anche io spesso in questa tesi li ho usati come equivalenti, ma non sono la stessa cosa. Secondo le definizioni che ci derivano dalle scienze del linguaggio e dalla critica letteraria possiamo fare una prima distinzione:  Una storia (History) : è l’insieme degli eventi descritti secondo una successione logica e cronologica, è il contenuto di un certo racconto.  Un racconto (story): è la forma del discorso con cui una certa storia viene raccontata. E’ un’elaborazione di vicende reali e immaginarie. E’ la forma del contenuto enunciato.  Una narrazione (narrative) : è l’atto attraverso cui una certa storia è concretamente veicolata da qualche attore verso qualche pubblico. Ma soprattutto: Una storia-narrazione è un media.
  • 72. Pag.71 La storia, infatti, è un media linguistico, in altre parole, se voglio raccontare qualcosa a qualcuno devo avere un contenuto che poi elaboro in una forma particolare di discorso (racconto) che a sua volta possiede una trama e un genere, e che si posiziona nella memoria dei miei interlocutori attraverso una procedura linguistica-iconica (immagini, parole, suoni, atmosfere e così via. Una buona storia non solo risponde alla sete della ragione, ma fa venire i crampi allo stomaco e fa battere il cuore. Per questo manda in trance. Per costruire una storia d’impresa occorre avere una strategia. Lo storytelling è prima di tutto un’attività strategica, perché la narrazione è sempre un gesto strategico e un evento di interrelazione sociale e istituzionale che qualche autore produce per qualche destinatario che ascolta e poi interagisce interpretando. Il nostro obiettivo è generare attenzione e memoria, e la narrazione produce, in un’audience, curiosità e ricordo. Abbiamo detto che una storia è un gesto strategico e inventivo è scritta o orale ed è sempre un prodotto e un processo: in altri termini, una storia è un “cosa” e un “come”44 E’ un “cosa” perché è un atto comunicativo che contiene:  Un insieme di personaggi: che nel nostro caso potrebbero essere gli individui, le aziende, i prodotti e i servizi;  Un’articolazione di temi: di base strategici per le intenzioni comunicative.  Un sistema di azioni: cioè situazioni in cui un personaggio ha un ruolo attivo, consapevole o inconsapevole;  Un’ambientazione spaziale e temporale: i luoghi e le cronologie in cui la storia si svolge e viene raccontata; 44 Greimas A.,Courtes J., Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad.it. Mondadori, Milano, 2007.